Brani:

Introduction - Hungerford - Deviation Dance - Two Little Pigeons - Don Alfonso - Open Piccadilly - Feedback - Vorblifa-Exit - Insensatez - (a) Conversation (b) Mango Walk - Piccadilly with Goofs - Rasa Moods - A Collective Improvisation - I Am The Walrus - The Rhythmic Hooter - Loverman - Zoological Fun - Little Triple One Shot - Dat's Why Darkies Were Born - A Series Of Superbly Played Mellotron Codas

Formazione:
Lol Coxhill: tenor sax, soprano sax, vocals; with Kevin Ayers: guitars, bass; Mike Oldfield: guitars; David Bedford: organ, piano; Burton Greene: piano; Jasper Van't Hof: piano; Robert Wyatt: drums; Dave Dufort: drums; Pierre Courbois: drums
Anno: 1971, Dandelion (ristampa 1994, See For Miles - Durata: 77:11

Uno dei più grandi musicisti transitati nell’area canterburiana nei seventies è il versatile sassofonista Lol Coxhill, sorta di “prezzemolo” che ha collaborato con quasi tutti gli artisti protagonisti di questa scena e non solo con loro (partito con Rufus Thomas e Alexis Corner, ha prestato i suoi fiati a Delivery, Wyatt, Hopper, Ayers, Caravan, Henry Cow, Mike Westbrook e molti altri).

Nel suo esordio solista Ear of the beholder, Coxhill si fa accompagnare da quella che in pratica era la Whole World Band di Kevin Ayers, in un caleidoscopio musicale in cui veramente si può ascoltare di tutto. E’ comunque il suo sax camaleontico a rappresentare il protagonista assoluto di quest’album come dimostrano subito gli oltre sette minuti di Hungerford o la più breve Deviation dance, nelle quali solo questo strumento va ad esporsi in un jazz d’avanguardia un po’ indolente, eppure caldo e imprevedibile. Le parole d’ordine per Coxhill sembrano in effetti essere sperimentazione e sorpresa e questo lavoro dà davvero l’impressione di essere un calderone che raccoglie tutta la sua arte. Si passa infatti con disinvoltura da brani canzonettistici e quasi infantili (Two little pigeons) a una parodistica rivisitazione di Don Alfonso, dal free-jazz più disinvolto alla ricerca sonora più pura (ascoltare Feedback), da fulminee schegge di follia alla beatlesiana I am the Walrus cantata da un coro di bambini e con tanto di piano e flauto, dall’improvvisazione totale (A collective improvisation) a vere e proprie perle di delicatezza quali Insensatez (con sax e chitarra che si incrociano magistralmente). Per non parlare poi dei venti minuti di Rasa-moods (e qui si avvertono maggiormente le influenze della musica contemporanea di Bedford), i cui equilibrismi sonori dalle timbriche ricercate sembrano racchiudere in un'unica eccentrica composizione tutte le caratteristiche appena descritte, o della brevissima (26 secondi) e conclusiva A series of superbly played mellotron codas, il cui titolo dice già tutto. Ear of beholder è un disco lunatico e di non facilissimo ascolto, ma decisamente originale e specchio fedele dell’arte di Coxhill, musicista di cui non si parla spessissimo; non un folle sperimentatore, ma artista poliedrico, a trecentosessanta gradi, raffinato, ironico e intelligente che va inserito senza remore tra i big della Scuola di Canterbury.

Peppe
Febbraio 2004