Brani:

1-Elements I & II; 2-Changing times; 3-Bedrock deadlock; 4-Spirit level; 5-Torso; 6-Snakeships’ dream

Formazione:

Ian Carr; Kenny Wheeler: trumpets and flugelhorns; Harry Beckett: trumpets and flugelhorns; Brian Smith: tenor & soprano saxes, flute; Tony Roberts: tenor sax, bass clarinet; Karl Jenkins: electric piano, baritone sax, oboe; Chris Spedding: guitar; Jeff Clyne: bass guitar, double bass; Ron Matthewson: bass guitar; John Marshall: drums, percussion; Chris Karan: percussion; Keith Winter: VCX3 electronic synthesizer

Prodotto da: Pete King
Anno: 1971, Mercury Records (ristampa cd 2002, BGO Records) - Durata: 45:05nu

Formazione appartenente all’area canterburiana e fortemente legata al jazz-rock, ensemble aperto, che ha visto numerosi cambi di formazione ed i cui musicisti si sono spesso ritrovati a far parte della line-up dei Soft Machine, i Nucleus di Ian Carr rappresentano un punto di riferimento imprescindibile per la musica inglese degli anni ’70.

Il trombettista-flicornista leader del gruppo si è infatti ritrovato alla guida di un’unione di talenti unica nel suo genere, che ha vissuto in parallelo con gli esperimenti elettrici che Miles Davis proponeva contemporaneamente dall’altra parte dell’Oceano. Solar Plexus è una delle opere più riuscite dei Nucleus, lavoro interamente strumentale, molto orchestrale nell’ampio uso di fiati e pregno di una forte contaminazione con il rock che emerge da quelle che sono ben più che rifiniture chitarristiche da parte di Chris Spedding. Il drumming del grande John Marshall è un altro elemento importante e distintivo della band, vista l’abilità e la nonchalance con cui si passa da ritmi abbastanza frenetici ad altri più raffinati, senza disdegnare passaggi più curiosi e bizzarri. E come dimenticare l’apporto fantasioso al piano elettrico di Karl Jenkins, altro cervello dotato di grande fantasia e immaginazione? Solar Plexus è un album che parte da due brevi temi accennati nell’iniziale Elements I & II che vengono ripresi, rielaborati, dilatati e trasformati negli altri brani, creando una magnifica unione di jazz moderno, rock e musica d’avanguardia, attraverso un’esplorazione sonora a tutto tondo e momenti solistici da brivido. Tramite la loro eccellente abilità tecnica, i musicisti riescono a creare seducenti passaggi strumentali e per tutta la durata dell’album dimostrano come in quel periodo il rock (o il jazz, fate voi…) non aveva confini.

Peppe
Febbraio 2004