Brani:
1-Glimpse; 2-Mongo iian bandits; 3-Night dust (monosyllabic sex); 4-Ombre moned
Formazione:
Hoppy Kamiyama: keyboards, vocal; Tatsuya Yoshida: drums, vocal; Nasuno Mitsuru: bass
Mixed by Tatsuya Yoshida; mastered by Yoshiaki Kondo
Anno: 2003, Musea - Poseidon - Durata: 77:11

Tatsuya Yoshida è considerato il Christian Vander giapponese. Paragone un po’ azzardato, anche se questo batterista ha dimostrato con i suoi gruppi Ruins e Koenji Hyakkei di seguire i sentieri di un prog particolarmente tortuoso, oppure tentativi di “clonare” i grandi Magma. Ma l’animo vulcanico di Yoshida lo porta a cimentarsi in molteplici progetti, l’ultimo dei quali risponde al nome di Daimonji.

Con il tastierista Hoppy Kamiyama (proprietario della God Mountain Records) e con il bassista Mitsuru Nasuno degli Altered States, ha accompagnato per un po’ la cantante giapponese Jun Togawa. I musicisti si sono poi staccati da questa vocalist ed hanno iniziato ad esibirsi in trio col nome di Improg, che è poi diventato il titolo del loro debut-album nel momento in cui hanno scelto di cambiare definitivamente l’appellativo. E veniamo ai contenuti di questo lavoro, che si snoda attraverso quattro lunghissime tracce, per quasi un’ora e venti di musica che mostrano la propensione del gruppo verso l’improvvisazione e l’avanguardia. Si parte con Glimpse, subito nervosa, tra ritmi folli e spunti tastieristici irregolari che, nel prosieguo del brano, mostrano anche quelle ossessive reiterazioni tipiche dello zeuhl e spesso basate anche su sole due o tre note. Non si fanno attendere, inoltre, vocalizzi tormentati, in pieno stile Vander, che diventeranno una delle caratteristiche dell’album. Le influenze zeuhl sono chiaramente avvertibili anche all’inizio della successiva Mongo iian bandits, che parte con rumorismi, cantato inquietante e improvvisazione, proseguendo poi con ritmi molto intensi e soluzioni a cavallo tra sperimentazione sonora ed un jazz-rock abbastanza aggressivo (ma con interessanti stravaganze nella parte centrale) che vedono protagoniste soprattutto le tastiere di Kamiyama. Dopo la furia di due tracce che hanno già portato via circa 37 minuti, una piccola boccata d’ossigeno arriva con l’inizio vagamente atmosferico di Night dust, che, tra sprazzi spacey e gli ormai consueti vocalizzi vanderiani, presenta una costante crescita di intensità e variazioni ritmiche decisamente efficaci. Anche la conclusiva Ombre moned inizia con suoni d’atmosfera e cantato sofferente, ma si sviluppa poi attraverso un jazz-rock molto irruente e soluzioni imprevedibili che presentano anche alcune improvvise aperture ariose. Non si tratta certo di un album di facile assimilazione e la lunga durata di sicuro non favorisce l’ascolto concentrato che necessiterebbe, ma gli spunti lodevoli non mancano. Limando qualcosina qua e là, i Daimonji hanno tutte le possibilità di diventare un importante punto di riferimento per gli amanti del progressive più ostico e contorto.

Peppe
Febbraio 2004