| Brani: | |
| 1st movement; 2nd movement | |
| Formazione: | |
| Cyrille Verdeaux: grand piano, organ, mellotrons, synthesizers; Christian Boule: electric guitar; Gilbert Artmann: drums, vibraphone; Martin Isaacs: electric bass; Steve Hillage: electric guitar; Didier Malerbe: saxophone; Tim Blake: synthesizer VCS2; tibetan bowl | |
| Engineered by David Vorhaus & Mick Glossop Anno: 1973, Virgin. Ristampa 2001, Spalax - Durata: 40:58 |
Musicista di spicco e di culto per il progressive francese, il tastierista Cyrille Verdeaux ha legato il suo nome indissolubilmente a quello dei Clearlight. Con questo gruppo realizzò nel 1975 uno spettacolare disco d'esordio intitolato Symphony, che, a tutti gli effetti, può considerarsi uno dei più importanti punti di riferimento della scena transalpina.
Da dove partire per un'analisi di questo lavoro? Innanzitutto, è il caso di indicare chi vi ha partecipato. Grandi nomi, infatti, vanno a formare una line-up assolutamente spettacolare che vedeva nelle sue fila musicisti “in prestito” dai celebri Gong quali Steve Hillage (chitarra), Tim Blake (sintetizzatori) e Didier Malherbe (sax e flauto), ma anche figure importanti del prog dell'Esagono che rispondono ai nomi di Christian Boule (chitarra), Gilbert Artmann (batteria e vibrafono, noto per la sua esperienza con i Lard Free) e Martin Isaacs (basso). L'album è suddiviso in due lunghi movimenti che superano i venti minuti e che regalano finissimi momenti musicali a cavallo tra rock sinfonico ed ambientazioni cosmico-spaziali. Il gran dispiego di tastiere permette un'ampia gamma di sonorità, arricchite ulteriormente dalla classe dei musicisti intervenuti. In particolare, spicca l'uso del mellotron, che crea immaginifici scenari, e del piano, che favorisce soluzioni pregne di fine romanticismo. Il movimento a cui partecipano i musicisti dei Gong si presenta particolarmente pacato e molto atmosferico (anche se intorno ai cinque minuti gli strumenti vanno ad improvvisare quasi deliranti). Tastiere varie, chitarra e sax risaltano magnificamente attraverso suoni suggestivi e visionari ed il risultato finale, sotto certi aspetti, può ricordare alcuni episodi oldfieldiani imparentati con la new-age, anche se i Clearlight riescono a mantenere un'identità propria. L'altro movimento, registrato ai celebri Manor Studios di Oxford, è invece più dinamico e frutto di accelerazioni improvvise, vortici sonori incandescenti e attimi di quiete che lo possono quasi avvicinare ad una forma di free-music tutt'altro che astrusa. In conclusione, non possiamo che rimarcare ulteriormente la qualità di quest'album; importante storicamente, suonato con classe da musicisti di talento e contenente quarantuno minuti di straordinario spessore artistico.Peppe
ottobre 2004
Nessun commento:
Posta un commento