Claudio Rocchi





Come impostare una retrospettiva su un artista così particolare e influente, ma anche così poco conosciuto come Claudio Rocchi? Credo che il modo migliore sia quello di analizzare la sua produzione discografica, la sua musica e la sua arte. Ed è quello che mi appresto a fare, sperando che questo mio scritto possa invogliare qualcuno ad approfondire la conoscenza della sua musica, e ricordando che Claudio Rocchi è attivo e creativo ancora oggi e che, probabilmente, la sua parabola artistica potrebbe regalarci ancora qualche altra delizia...

DISCOGRAFIA


STORMY SIX - LE IDEE DI OGGI PER LA MUSICA DI DOMANI (1969)

Il disco d’esordio degli Stormy Six rappresenta anche la prima esperienza discografica per Claudio Rocchi. Il disco può essere definito come proto-prog ma con ancora moltissime influenze beat, soprattutto per le sonorità della batteria. Rocchi compone tre canzoni (anche se quasi tutte sono cofirmate con Franco Fabbri), che sono probabilmente le migliori del disco (le composizioni di Fabbri appaiono invece ancora un po’ acerbe). Ramo risente già dell’innamoramento di Rocchi per l’India. Il brano ha un incedere lento e ipnotico tipico della musica indiana ed è caratterizzato dal suono degli strumenti tipici di quella terra (il sitar su tutti). Il brano è stato registrato con i musicisti seduti a terra e l’incenso diffuso e questo tipo di atmosfera traspare chiaramente anche dal semplice ascolto. I tuoi occhi sono tristi è una canzone caratterizzata dal suono dell’organo hammond con Rocchi che, per sua stessa ammissione, ha voluto scrivere un pezzo alla Brian Auger. Per la verità la canzone non è delle più esaltanti e l’impressione è che Rocchi non si trovi a suo agio con questo tipo di atmosfere. Il brano migliore di tutti è probabilmente Sotto i portici di marmo, una canzone che contiene già tutti gli elementi del Rocchi futuro, sia per i testi che per i suoni, caratterizzati dall’utilizzo rocchiano (non mi viene altro termine) della chitarra acustica. In sostanza Le idee di oggi per la musica di domani è un disco da avere non solo per il suo inestimabile valore storico ma anche per quello artistico che, nonostante alcune ingenuità, è stato il punto di partenza per due carriere contrapposte, ma ugualmente portatrici di immensi contenuti musicali e artistici: quella di Claudio Rocchi e quella degli Stormy Six.


VIAGGIO (1970)

L’album di esordio vero e proprio che traccia le coordinate della poetica di Claudio Rocchi e che, soprattutto, gli apre la strada verso la conduzione radiofonica (un altro campo in cui l’artista è stato pioniere). Per motivi di budget il nostro entra in studio da solo, accompagnato dal solo Mauro Pagani (sì proprio lui), che in seguito dedicherà proprio a Rocchi il testo della canzone della PFM Per un amico. Alle registrazioni partecipano anche due compagne di liceo di Rocchi, Roberta Rossi e Annie Lerner, che si limitano a cantare alcune strofe in un paio di canzoni. Come detto il disco presenta tutte le caratteristiche che si ritroveranno anche nei successivi lavori. L’iniziale Oeuvres è in sostanza un brano di pura musica elettronica in cui Rocchi, per sua stessa ammissione, subisce le fascinazione di autori come Varese e Xenakis. Per il resto il disco è composto da 9 canzoni prettamente acustiche che possono essere ricondotte (ma solo in parte) all’influenza di autori come Donovan e, soprattutto, Roy Harper. La tua prima luna è uno dei cavalli di battaglia dell’artista e, ancora oggi, non manca mai nei concerti. La successiva Non è vero, per le trame acustiche e l’accompagnamento del violino di Pagani, è dal punto di vista musicale, una delle migliori, ma presenta un testo forse non ispiratissimo come altri. In generale, pur nell’originalità dei testi e dei temi trattati, a volte i versi presentano qualche ingenuità, peraltro ampiamente giustificabili in un ragazzo di poco più di 18 anni. Altri brani da segnalare, almeno a parere di chi scrive, sono senz’altro Ogni uomo, I cavalli e 8.1.1951. Due sono le canzoni che possono essere ricondotte più direttamente al progressive: Gesù Cristo (tu con le mani) e la strumentale Viaggio. La prima presenta un paio di cambiamenti repentini d’atmosfera ma ha una grossa pecca nel cantato che a tratti appare un po’ sguaiato (probabile che sia una cosa voluta ma, credo, non riuscita alla perfezione). Diverso invece è il discorso della seconda in cui la chitarra acustica di Rocchi e il flauto magico di Mauro Pagani duettano mirabilmente regalandoci un meraviglioso gioiello di sette minuti. Verso la metà Rocchi si lancia in qualche sommesso vocalizzo che conferisce ulteriore fascino al brano, senz’altro il migliore del disco. In definitiva, pur con qualche difetto, Viaggio rappresenta uno di quei dischi che è indispensabile possedere non solo per la loro importanza storica, ma anche per l’intrinseco valore artistico.

VOLO MAGICO N. 1 (1971)

Parliamoci chiaro. Questo disco può essere definito solamente in un modo: capolavoro. Non soltanto perché è il disco senz’altro più progressivo di Claudio Rocchi, ma anche perché, nelle quattro canzoni presenti, non esistono momenti di calo di ispirazione e la musica fluisce meravigliosamente. L’unica piccola pecca forse risiede nella voce ancora un po’ sguaiata di Rocchi in alcuni momenti. Ma si tratta di un peccato talmente veniale (e limitato) da non modificare di una virgola il giudizio positivo sull’album. Il budget questa volta doveva essere più consistente e permise a Rocchi di avvalersi di un gruppo di ospiti di assoluto valore (questa sarà una costante di molti suoi lavori). I due nomi di spicco sono senz’altro quelli dei chitarristi Ricky Belloni (New Trolls, Nuova Idea) e Alberto Camerini. Il disco è spesso caratterizzato dal rincorrersi delle chitarre di questi due maestri delle sei corde, ma tutto all’interno di un discorso che fila dall’inizio alla fine e che quindi non concede mai spazio a sterili virtuosismi fini a se stessi. Da segnalare anche l’apporto del bravo tastierista Eugenio Pezza (l’unico a suonare in tutti i brani) e della cantante Donatella Bardi sulla title track. Proprio la suite Volo magico rappresenta una vera e propria delizia per le orecchie. Dall’inizio prettamente acustico harperiano si passa al cantato, inframezzato da alcune parti strumentali. Splendidi l’utilizzo delle percussioni soprattutto nella parte iniziale e il coro che fa capolino di tanto in tanto e che conferisce un alone quasi mistico all’intero brano. Un vero e proprio manifesto non solo del progressive, ma dell’intera musica rock italiana degli anni Settanta. Dopo la maratona della title track subito si trova la brevissima (poco più di due minuti) La realtà non esiste, una canzone per pianoforte e voce che è solo apparentemente semplice. Il testo contiene tematiche di approfondimento filosofico che saranno caratteristiche in molte canzoni del nostro e che rappresentano senz’altro un suo peculiare tratto distintivo. A questa canzone l’autore è ancora molto affezionato visto che la ripropone ancora oggi nei suoi concerti. Si ritorna a un minutaggio più elevato con la lunga Giusto amore che rappresenta un episodio un po’ particolare (ma non per questo meno valido). Lasciate da parte le chitarre acustiche, il brano è segnato dagli strumenti elettrici (le 6 corde di Belloni e Camerini e la 12 corde di Rocchi). Un brano che piacerà senz’altro ai fans più “progressivi”. Il disco si conclude alla grandissima con Tutto quello che ho da dire. Un testo meraviglioso con accompagnamento solo di pianoforte e mellotron che riuscirebbe a non fare breccia soltanto in coloro che non hanno un cuore. In definitiva un disco da avere assolutamente e che, tra l’altro, è stato ristampato da poco. Chi dunque ancora non lo possedesse è caldamente invitato a colmare la lacuna.

LA NORMA DEL CIELO - VOLO MAGICO N. 2 (1972)

Gran parte del materiale di questo disco proviene dalle medesime sessions del precedente disco. Inizialmente infatti Volo magico avrebbe dovuto essere un disco doppio, ma le resistenze della casa discografica alla fine portarono alla pubblicazione di un singolo. Tre sole le canzoni di questo disco che sono di composizione successiva: la title track, L’arancia è un frutto d’acqua e Lascia Gesù. Che dire di questo disco? A parere di chi scrive si tratta di un altro capolavoro. Forse non ha i picchi qualitativi del precedente, ma non ne presenta neanche quei piccoli difettucci di cui si diceva e qui la voce di Claudio è perfetta, naturalmente per il suo particolare tipo di canzoni. Il disco parte subito alla grande con L’arancia è un frutto d’acqua, brano dominato da pianoforte e organo e con un coro finale da brividi. Subito dopo troviamo Storia di tutti che è forse la canzone in cui Rocchi si avvicina di più a Roy Harper, vale a dire l’artista che più lo ha influenzato. Le trame acustiche di questo brano avvolgono l’ascoltatore e quasi lo ipnotizzano. Probabilmente sul podio delle canzoni più belle di Claudio. Subito dopo è la volta della title track. Personalmente sono molto affezionato a questa breve canzone (poco più di tre minuti) per via del testo. Con poche ma riuscite frasi Claudio Rocchi riesce a esprimere un concetto che di solito richiede pagine e pagine di trattati filosofici: vale a dire il dominio della volontà sugli esseri umani e la necessità di misurare il proprio volere per essere veramente felici. Per chi scrive questo brano è un piccolo gioiello. I tre brani che seguono sono a un livello qualitativo un poco inferiore ma probabilmente ciò deriva dai tre che li precedono, che sono autentici must. Il disco si conclude poi con l’ennesimo colpo di classe: la strumentale Per la luna. E qui Rocchi fonde senza mezzi termini la propria ispirazione con le fascinazioni della musica indiana. E l’utilizzo di quel meraviglioso e divino strumento denominato sitar ci trasporta in un mondo contemporaneamente antico e senza tempo. Altro capolavoro, dunque, purtroppo fuori catalogo attualmente dopo una ristampa, ormai esaurita, targata Vinyl Magic, nello scorso decennio. C’è da augurarsi che la BMG, sulla scia del successo delle ristampe progressive di questi ultimi mesi, decida di rimettere in commercio anche questo disco che certamente non merita l’oblio.

ESSENZA (1973)

Questo è il disco preferito in assoluto da Claudio Rocchi. E, probabilmente, come afferma lui stesso nel suo sito, lo è per via della sua genesi. Inizialmente avrebbe infatti dovuto essere il nuovo lavoro della family di Volo magico ma alcuni problemi indussero Rocchi a entrare in studio da solo sperando di trovare qualche collaboratore per strada. E puntualmente li trovò, e che collaboratori! Mino De Martino (Giganti, Albergo Intergalattico Spaziale) e Elio D’Anna (Osanna, Uno), oltre alla cantante Terra Di Benedetto, aiutarono Rocchi a incidere il disco senza prove precedenti e quasi improvvisando. E il carattere improvvisativo pervade tutto il disco che però, a parere di chi scrive, rimane un passo indietro rispetto ai precedenti lavori, mantenendo comunque elevatissimi standard qualitativi. I primi due brani, almeno, sono assolutamente strepitosi. La title track è caratterizzata da una base elettronica su cui si inseriscono il cantato un po’ strascicato di Rocchi, nonché la voce della piccola Vanilla (la figlia della compagna di quel momento di Claudio) che si aggira per lo studio scoprendo gli strumenti. Davvero originale e suggestivo. Un po’ più classica invece Sono un uomo, quasi dieci minuti di brano che merita di essere annoverato fra le cose migliori mai fatte dall’artista. Il resto del disco, però, risente forse eccessivamente della mancanza di un adeguato lavoro preparatorio. Tuttavia rimane difficile bocciare qualche brano (forse solo Radici e semi può essere definito deludente) e il disco rimane da avere. Purtroppo anche Essenza è fuori catalogo e non si sa se e quando potrà vedere la luce anche nel formato CD...

IL MIELE DEI PIANETI LE ISOLE LE API (1974)

Dalle sessions con gli Aktuala di Walter Maioli nasce questo disco che rappresenta l’ennesimo episodio felice nella discografia di Claudio Rocchi. Ciò che balza immediatamente all’occhio (anzi, all’orecchio) è una maggiore attenzione all’aspetto ritmico, soprattutto nei primi due brani: Il miele delle api e Lila. Su quest’ultimo si esibisce, alle tabla, un giovanissimo Trilok Gurtu che crea un tappeto percussivo su cui si innestano sonorità ipnotiche che rendono questo brano uno dei più vicini di sempre alla musica indiana. Un altro grande brano è Le isole e i pianeti anch’esso dominato da sonorità prevalentemente acustiche. L’unico neo del disco è rappresentato dalla brutta Adesso, con un riff di chitarra elettrica non indovinatissimo. In La rana invece Rocchi si rifà direttamente alla tradizione cantautorale con un bel testo e un accompagnamento di chitarra acustica e armonica, quasi come un novello Bob Dylan. Disco molto valido, anche questo, dunque, che meriterebbe una ristampa in CD che, purtroppo, non si sa quando mai potrà arrivare....

ROCCHI (1975)

Con il disco intitolato con il suo cognome Claudio Rocchi si avventura sempre di più nel mondo della musica elettronica, anche se questo disco può essere considerato ancora un ibrido. Per trovargli un analogo credo si debba ricorrere a dischi come Fetus o Pollution del primo Franco Battiato. Per la realizzazione di questo disco Rocchi si avvale anche della collaborazione di Paolo Tofani (chitarrista degli Area). E’ questo l’inizio di una collaborazione e di un’amicizia che dura fino ad oggi. La lunghissima Zen session si muove esattamente sulle coordinate di cui si diceva (soprattutto l’uso dei campionamenti ricorda molto il primo Battiato) con un risultato che risulta senz’altro piacevole. E anche il resto del disco si muove più o meno sulle medesime coordinate, seppure su minutaggi assai più contenuti. Ci sono però un paio di eccezioni che vedono Rocchi ritornare alla forma canzone. La più evidente di tutte è Zero, una canzone davvero riuscita che, a parere di chi scrive, è senz’altro la migliore dell’album in questione che, comunque, si merita un giudizio che supera ampiamente la sufficienza.

SUONI DI FRONTIERA (1975)

Il percorso iniziato con il precedente Rocchi viene qui portato alle estreme conseguenze. Suoni di frontiera è composto di 16 brevi (o brevissimi) frammenti sonori che possono ricondursi completamente alla musica elettronica. Non vi è traccia di canzone o forma-canzone in questo disco che, dunque, può risultare piuttosto ostico a chi non sia un vero e proprio amante di queste sonorità. Anche per questo è difficile esprimere un giudizio su un disco che, comunque è uno dei preferiti di Claudio Rocchi stesso. I brani migliori, a parere di chi scrive, sono probabilmente quelli dalle atmosfere più solenni ed evocative come, ad esempio, Il risveglio, Oh lyra o . Quelli più strani e originali sono invece senz’altro la brevissima Frammento e Canzone popolare. Una citazione merita anche un altro brano, se non altro per l’originalissimo titolo: Del r(ub)(id)are cultura. Un disco comunque consigliabile solamente agli amanti della sperimentazione elettronica. Difficilmente comunque subirà una ripubblicazione in CD essendo l’ultimo del catalogo Ariston. Dopo questo disco Rocchi passerà nella scuderia Cramps.

A FUOCO (1977)

Il primo disco di Rocchi per la Cramps riesce, manco a dirlo, a spiazzare ancora tutti. Dopo le ricerche elettroniche di Suoni di frontiera, Rocchi si butta all’improvviso, e decisamente, nel pop e un pop pure apparentemente facile. Ma non solo: per la prima volta l’artista si avvale di un’orchestra sinfonica per farsi accompagnare nei suoi testi. In realtà la semplificazione non è così marcata. Il disco, infatti, cresce ad ogni ascolto, soprattutto alle orecchie di coloro che volessero prestare attenzione ai testi che, pur essendo a tratti più leggeri che in passato, rimangono comunque ispiratissimi. Basti pensare, ad esempio, a un brano splendido come Una fotografia, che rappresenta il top dell’album. Il disco scorre per il resto in maniera omogenea senza particolari alti e bassi, ma con belle canzoni come, ad esempio, L’orizzonte a Milano oppure Non è stato diverso che hanno un’atmosfera malinconica che le fa elevare leggermente sopra al resto dei brani. In definitiva si tratta di uno di quei dischi che è senz’altro meglio possedere piuttosto che ignorare. E, in questo caso, non è nemmeno difficile. La Edel, infatti, l’ha recentemente ristampato e dunque risulta di piuttosto facile reperibilità. Il consiglio è di procurarselo....

NON CE N’E’ PER NESSUNO (1979)

Questo è l’ultimo disco di Claudio Rocchi prima di ritirarsi per 15 anni dalle scene, per buttarsi nell’esperienza bhakti-yoga. Contrariamente a quanto si può prevedere, il disco è quanto di più lontano dalla musica indiana Rocchi abbia mai fatto. Le atmosfere pop del precedente disco vengono, se possibile, ancora accentuate e, nonostante le potenzialità della band che accompagna Rocchi (Paolo Tofani e Walter Calloni tra gli altri), non convincono del tutto. Emblematici di ciò sono i primi due brani: Camminare e la title track, davvero deludenti, almeno per gli standard di Rocchi. Il disco comunque si risolleva ampiamente grazie a tre brani davvero “strani” e piacevoli: Nuove nevi, con un ottimo uso dell’elettronica, Grande (e)vento oggi in Toscana, con uno dei testi più divertenti mai scritti dall’artista e la conclusiva Il cielo si fa blu, probabilmente il pezzo migliore, che rappresenta l’ideale sintesi fra i due brani appena citati. Anche questo disco è stato ristampato recentemente dalla Edel ed è quindi di facile reperibilità.

UN GUSTO SUPERIORE (con Paolo Tofani) (1980)

Un vero bestseller questo disco. Pubblicato in tre lingue è ancora oggi uno dei più venduti della discografia di Claudio Rocchi. Il vinile veniva venduto dai devoti Hare Krsna e l’intero ricavato è stato utilizzato a scopo devozionale. Oltre alla curiosità il disco meriterebbe di essere posseduto foss’anche solo per la presenza di Dio, un vero e proprio gioiello per voce e chitarra acustica. Per il resto il disco è molto meno serioso di quanto si possa credere e presenta anche delle melodie molto allegre, oltre a titoli e argomenti trattati assolutamente originali. Per i primi vale il brano intitolato O sei parte del problema o sei parte della soluzione, in cui Rocchi e Tofani si producono in una prova che ricorda abbastanza da vicino alcuni episodi di Non ce n’è per nessuno. Per i secondi vale invece La macellazione in cui la voce di Rocchi declama le motivazioni per cui non si dovrebbe consumare carne. Un altro pezzo piuttosto valido è Muoiono. La breve e conclusiva Jiv Jago si muove invece sulle coordinate della musica indiana. Un disco dunque non molto dissimile a Non ce n’è per nessuno anche se forse di qualità leggermente inferiore. Ma, come detto, la presenza di un brano come Dio farebbe guadagnare la sufficienza a qualunque disco.

CLAUDIO ROCCHI (1994)

Il disco del ritorno nel mondo musicale dopo l’esperienza bhakti-yoga non fa che confermare le qualità di Claudio Rocchi. Al di là della qualità delle composizioni, un grosso punto di forza (ma contemporaneamente di debolezza) di questo disco risiede nella produzione di Lucio Fabbri. Il disco ha una qualità audio davvero buona ma risente un po’ troppo dell’impronta pop datagli dal produttore. E lo stesso Claudio Rocchi si dispiace un po’ ancor oggi di questo fatto. Emblematica di ciò è la canzone Sto con me, che nell’arrangiamento proposto nel disco non decolla e che invece, sentita nei concerti dello scorso anno in versione acustica, appare come un piccolo gioiello. Le canzoni migliori del disco sono comunque le prime due. La lunga Tutto passa (volo magico n° 3) si fa notare perché aggiunge al consueto testo ispiratissimo la ripresa della parte finale della celeberrima suite di Volo magico. La parte iniziale della canzone invece ha un incedere più rockeggiante del consueto, ma la cosa non disturba affatto, anzi. L’umana nostalgia, a parere di chi scrive una delle canzoni migliori di Claudio, è il solito gioiello acustico, nobilitato dalla presenza di ospiti di prestigio, da un testo bellissimo e commovente e dalla splendida voce di Alice. Se il disco continuasse su questo livello sarebbe un vero capolavoro. Invece, da qui in avanti, alterna buone composizioni ad altre decisamente meno riuscite (forse anche per il problema della produzione di cui si parlava poc’anzi). Un altro brano da segnalare è senz’altro Fuoco, la canzone più sperimentale del disco con un sacco di sonorità strane, ma mai fini a se stesse. Il disco, all’epoca stampato anche in CD dalla Polygram, è purtroppo fuori catalogo. Se vi capita in qualche fondo di magazzino, non lasciatevelo comunque scappare.

I THINK YOU HEARD ME RIGHT (1996)

Da un viaggio nei suoi archivi personali Rocchi tira fuori questo interessante disco di outtakes. La gran parte è formata da pezzi di musica elettronica del tipo di quelli contenuti su Suoni di frontiera. Personalmente ritengo che questi siano migliori di quelli del disco del 1975 ma naturalmente è un’opinione personale. E le vere e proprie canzoni contenute sono piuttosto strane e originali (come consuetudine di Rocchi). Un perfetto esempio di ciò è senz’altro l’iniziale Con gli ONOBMP. Per i collezionisti e i nostalgici il pezzo più interessante dell’album è senz’altro L’aquilone, un inedito del 1968, con Mauro Pagani al flauto, che certo non avrebbe sfigurato su Viaggio. Fra le cose già sentite più o meno parzialmente all’interno della discografia rocchiana sono da segnalare: La morte, la porta di cui alcune parti furono utilizzate su Zen Session dal disco Rocchi; e Jane’s Lullaby, pezzo strumentale per chitarra acustica che ha costituito la base per Dio. I Think You Heard Me Right è uno dei pochi dischi ancora regolarmente in catalogo. Non può mancare a tutti gli estimatori di Claudio Rocchi ma certo non è consigliato ai novizi. “Se sei a leggere queste note - dice lo stesso Rocchi sul retro di copertina - molto probabilmente hai ascoltato altre mie cose...” Il giudizio comunque rimane assai positivo anche per questa pubblicazione.

SULLA SOGLIA (1998)

“Undici pezzi rivisti nel presente e due antichi giochi fra amici del 1968.” Così Claudio Rocchi ci presenta quello che, fino ad oggi, è il suo ultimo disco pubblicato. Una sorta di piccola antologia della sua carriera con tutti i brani suonati unplugged. I due inediti sono Il mio esistere e Coscienza, di cui il primo in particolare, è davvero molto valido. Per il resto le nuove versioni dei pezzi storici appaiono un po’ meno incisive delle versioni originali (ed è strano perché invece nei recenti concerti i brani sono apparsi riuscitissimi). Un giudizio, il mio, che potrebbe però anche dipendere dall’amore eccessivo per i brani originali. Per quel che riguarda la scelta il disco più gettonato è stato Viaggio (I cavalli, Questo mattino, La tua prima luna, 8/1/1951, Ogni uomo e Non è vero). Gli altri pezzi sono Storia di tutti, L’arancia è un frutto d’acqua e La norma del cielo (da La norma del cielo), Tutto quello che ho da dire (da Volo magico) e La rana (da Il miele dei pianeti). Anche per questo disco valgono le considerazioni fatte per il precedente: da avere (anche se non necessariamente) per i fans, da acquistare in un secondo tempo per i novizi.

LE SORPRESE NON AMANO ANNUNCIARSI SONO UN GRUPPO ROCK DI FANCIULLE SUONANO NUDE E SONO BELLISSIME (2003)

Un titolo particolare per un’opera e un autore altrettanto particolari. Non si tratta di un disco, bensì di un libro che è stato pubblicato lo scorso anno. E’ composto da una serie di scritti inediti di Rocchi assemblati per la neonata e interessante casa editrice Jubal. Gli scritti contenuti viaggiano a metà fra la prosa e la poesia. L’autore ha infatti deciso di eliminare quasi totalmente la punteggiatura in modo da conferire una scansione metrica, quasi poetica, ai suoi scritti. Un aggettivo che calza a pennello a questo libro è senz’altro quello di “psichedelico”, come confermato dallo stesso autore interrogato in proposito: “Nell’accezione etimologica psichedelia significa espansione della psiche. Per cui di sicuro quelle note sono frutto di espansione della mia psiche e può darsi che la lettura indotta, cui io costringo, senza la punteggiatura, possa risultare in qualche modo insolita, non abitudinaria e quindi aggiungere qualcosa al patrimonio esperienziale medio di chi legge.” Una lettura insolita, dunque, ma certamente interessante e utile per scoprire meglio una delle personalità più originali e importanti della scena musicale italiana dei primi Anni Settanta. Alcuni passi del libro vengono utilizzati e letti da Claudio Rocchi nei suoi spettacoli in un’ottica realmente multimediale di cui, checché se ne dica, questo autore è stato fra i precursori.

IL FUTURO


Un film, dal titolo Pedra Mendalza, girato per gran parte in Sardegna e un live antologico per cui Rocchi sta raccogliendo vecchi nastri, chiedendo anche l’aiuto dei suoi fans, qualche concerto e, speriamolo, anche un nuovo disco, in cui, dice Claudio, “forse riuscirò a trovare il giusto equilibrio fra le canzoni e l’elettronica.” In ogni caso un artista ancora pieno di idee che, c’è da scommetterlo, ci potrà regalare qualche altra emozione. E, se capita di sapere che suona dalle vostre parti, andate a vederlo. Vale davvero la pena assistere ad uno dei suoi recentissimi spettacoli.

Mastro Gobbetto
Aprile 2004

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