Brani:

1 - Transporter ; 2 - Resident ; 3 - Easy For You To Say ; 4 - Prelude ; 5 - Nostalgia ; 6 - Walking From Pastel ; 7 - Turn It Over ; 8 - Green Face ; 9 - Who My Friends... ; 10 - Colour Code ; 11 - Listen To Reason ; 12 - Through The Glass ; 13 - Transporter II

Formazione:
Eddie Jobson (vocals, keyboards, electric violin); Mick Moroch, Cary Sharaf, Gary Green, Michael Cuneo (guitar); Alon Oleartchik, Jerry Watts (bass); Michael Barsimanto (drums).
Prodotto da: Eddie Jobson
Anno: 1983, Capitol Records - Durata: 46:24

Siamo a fine 1979: la meravigliosa avventura degli UK volge al termine dopo soli due album più un live, e il leader indiscusso della band Eddie Jobson comincia a pensare a nuovi progetti.

La band Zinc comincia a prendere forma con Eddie e Mark Craney alla batteria, ma alla fine entrambi accettano l'invito di Ian Anderson dei Jethro Tull a suonare sul suo album solista A (disco che alla fine fu pubblicato a nome Jethro Tull). Finita l'esperienza con i Jethro Tull, Jobson riprende da solo il progetto Zinc avvalendosi di session-men per le parti di chitarra (nei credits spicca il nome di Gary Green dei Gentle Giant), basso e batteria; Jobson si occupa come al solito di tastiere e violino e, a sorpresa e con buonissimi risultati, alla voce (ruolo per lui finora inedito). Come era lecito aspettarsi, Jobson è dominatore assoluto del disco: i brani sono incentrati sulle sue tastiere (le quali si dividono unicamente con il violino gli spazi solistici), basso e chitarra raramente riescono a farsi notare, la batteria è (penso sotto le direttive di Jobson) fredda, quasi a voler simulare una drum-machine.
Difficile inquadrare The Green Album in un genere preciso: diciamo che fondamentalmente con gli Zinc Jobson ha tentato di riprendere quegli sviluppi che si erano intravisti nei due brani inediti sul live-testamento degli UK Night After Night. Pertanto ritroviamo una forte propensione alle parti vocali, e un ridotto uso di tempi dispari e virtuosismi, in brani abbastanza immediati ma assolutamente non banali in cui dominano synth e sequencer impegnati a dipingere scenari futuristici. Transporter è un'ipnotica intro che ci conduce all'hard tecnologico di Resident e Easy For You To Say (dove affiorano quà e là delle reminescenze Beatlesiane); si spezza improvvisamente il ritmo con la splendida trilogia strumentale Prelude / Nostalgia / Walking From Pastel (è sempre un piacere ascoltare le scorribande di Eddie al pianoforte), e si ritorna sulle coordinate standard del disco con tre brani riuscitissimi come Turn It Over (scelta anche come singolo), Green Face e Who My Friends (per me il vertice qualitativo del disco, una traccia che, sonorità sintetiche a parte, ci riporta direttamente agli splendidi brani di Danger Money degli UK). Un altro piccolo intermezzo strumentale, Colour Code, anticipa l'ultima sezione del disco, che contiene due brani leggermente sottotono, Listen To Reason e Through The Glass (quest'ultima con un interessante mini-assolo di batteria), e Transporter II, una manciata di secondi che riprendono il tema di apertura del disco, quasi come a chiudere un ipotetico cerchio.
Sarà che sono di parte, in quanto Jobson è uno dei miei musicisti preferiti in assoluto (uno dei pochi tastieristi che per tecnica e creatività è in grado di reggere il confronto con i soliti mostri sacri Emerson e Wakeman), comunque il disco è eccellente e merita di essere riscoperto. La sua unica colpa è sicuramente l'essere uscito nel 1983, un periodo decisamente infelice per un disco prog molto distante dai canoni Genesisiani che hanno dato successo ai Marillion: voci affermano che l'album sia costato 200.000 dollari e abbia venduto solamente 8000 copie circa... come era lecito aspettarsi, la band non va in tour e interrompe subito la propria carriera.

Mirrormaze
Novembre 2004