Intervista - Claudio Rocchi



Un'intervista a Claudio Rocchi non poteva certo ridursi a un semplice botta e risposta sulla sua carriera e sulla sua musica. E infatti ben presto si è allargata divenendo una sorta di chiacchierata sia sulle molteplici attività di un uomo che, per sua stessa ammissione, ha vissuto 4 vite diverse negli ultimi 50 anni, sia su altri aspetti più generali di carattere filosofico, artistico e chi più ne ha più ne metta. In pratica qualcosa di molto simile a ciò che è successo al concerto del mese di ottobre 2003 a Brescia che, di fatto, ha originato questa intervista. Un concerto che, da subito, è divenuto qualcosa d'altro: una performance che ha incluso letture, monologhi, proiezioni di filmati e riflessioni su alcuni fra i molteplici aspetti del nostro esistere. E qui di seguito c'è il fedele resoconto di una lunga chiacchierata, avvenuta qualche giorno dopo il concerto, presso la splendida casa milanese di Claudio Rocchi. Durante l'intervista spesso si è divagato e il lettore mi perdonerà se ho voluto riportare quasi tutto integralmente, nella convinzione che, per comprendere al meglio la personalità di questo affascinante personaggio, sia anche necessario seguirlo nelle sue riflessioni a 360° sui temi più disparati. Augurando buona lettura segnalo anche un piccolissimo scoop: forse abbiamo scoperto come è nata l'idea di denominare progressive, per lo meno in Italia, la musica che tanto amiamo.

MZ: Partiamo dal concerto di Brescia. Vorrei sapere le impressioni che ne hai ricavato e se una simile esibizione può essere considerata come un evento unico o se, al contrario, hai svolto altri "incontri" di questo genere.
CR: Ho ripreso a sentirmi disponibile per il palco dalla primavera del 2002 e da allora ho fatto una ventina di date. La gestione dei miei concerti è comunque attraverso il mio sito (www.claudiorocchi.com ndr) e quindi mi esibisco solo quando qualcuno mi contatta. Non abbiamo sempre utilizzato la stessa formula di Brescia perché con noi all'inizio c'era una ragazza cantante/danzatrice. Ultimamente la formula è un po' cambiata con l'introduzione dei readings, vale a dire letture dal mio libretto appena pubblicato.
 
MZ: Stai lavorando anche a nuove composizioni?
CR: Ora sto principalmente lavorando al montaggio del film che ho appena girato
 
MZ: Parlami allora di questo film, dal titolo Pedra Mendalza e del libro, intitolato Le sorprese non amano annunciarsi sono un gruppo rock di fanciulle suonano nude e sono bellissime, che hai appena pubblicato.
CR: Il film e il libro sono quasi gemelli perché sono nati insieme nel maggio di quest'anno. In due settimane, infatti, ho scritto la sceneggiatura del film e poi, appena finito di scriverla, mi ha contattato un amico di Trieste, che apriva una nuova casa editrice chiamata Jubal, chiedendomi se avevo qualche testo da dargli per pubblicarlo. Allora ho messo insieme un po' di testi scritti nell'arco degli ultimi 7-8 anni e ne è venuto fuori il libretto. Entrambi dunque sono nati nel mese di maggio. Dopodiché il libro è andato in stampa e il film l'abbiamo girato. In questi giorni comincerò a sedermi per visionare le 20 ore di girato digitale e le 20mila fotografie digitali scattate da cui trarre la storia.
 
MZ: Di cosa tratterà il film?
CR: Si tratta di un storia che ha a che fare con la circolarità del tempo e la natura spesso serendipica degli eventi, per cui vai da una parte e non trovi quello che cerchi, ma trovi qualcos'altro che non cercavi. Tratta di una sorta di viaggio iniziatico-psicomagico-liberatorio per la protagonista che ha un'avventura sorprendente in uno scenario che parte a Milano, zona Navigli, e si sviluppa fino al compimento in Sardegna in una realtà archeologica, prenuragica, magica.
 
MZ: Quando conti di finire il tutto?
CR: Vorrei riuscire entro fine anno in modo da averlo disponibile per l'iscrizione a tutti i festival della stagione 2004, ovviamente nel settore competente, che è quello di un cinema indipendente, mi auguro d'autore, di nicchia.
 
MZ: E' la tua prima esperienza cinematografica vero?
CR: Sì, soprattutto anche come produttore. Perciò la sto vivendo con grande intensità.
 
MZ: Tornando al libro credo che sia un'opera un po' particolare che, a una prima lettura, può risultare un po' spiazzante.
CR: Cioè?
 
MZ: Mi pare possa essere considerato come una sorta di via di mezzo fra la prosa e la poesia.
CR: Difatti è così. Io ho fatto proprio una scelta di linguaggio che è quella di abolire la punteggiatura. E non essendoci virgole, due punti o punti e virgola, teoricamente una lettura corretta è di andare dritti finché c'è un punto. E questo dovrebbe dare un ritmo che è vicino a quello di una scansione metrica e poetica. Difatti io l'ho scritto così, andando sui tempi del cuore che, almeno di solito, sono più poetici che in prosa.
 
MZ: Pensando a una possibile recensione del libro mi è venuto in mente di associargli l'aggettivo "psichedelico". Secondo te ci può stare?
CR: Ci può stare certamente. Nell'accezione etimologica psichedelia significa espansione della psiche. Per cui di sicuro quelle note sono frutto di espansione della mia psiche e può darsi che la lettura indotta, cui io costringo senza la punteggiatura, possa risultare in qualche modo insolita, non abitudinaria e quindi aggiungere qualcosa al patrimonio esperienziale medio di chi legge.
 
MZ: Volevo ora fare un piccolo excursus sulla tua carriera musicale. Quali sono, ad esempio, i dischi cui sei più affezionato?
CR: Nel primo periodo di "canzoni" il mio preferito è Essenza, che è anche il mio favorito in assoluto. Proprio adesso sto anche recuperando alcuni pezzi di quel periodo per i prossimi concerti. Di tutte le varie esperienze fuori dalla forma canzone il mio favorito in assoluto è Suoni di frontiera che è un disco solo di frammenti di musica elettronica senza parole, senza forma canzone. Oltre a questi vorrei citare i ¾ di un altro CD che ho intitolato I Think You Heard Me Right che è una raccolta di cose miste prese da un archivio di inediti. Questi ¾ sono episodi strumentali per me assimilabili alla ricerca di Suoni di frontiera, che è anche un po' la linea verso cui sto andando per la colonna sonora del film che, al momento, anche se strada facendo tutto può cambiare, immagino sarà largamente elettronica.
 
MZ: Le numerose ristampe di dischi tuoi, avvenute in questo ultimo periodo, immagino che ti facciano piacere...
CR: Certo. Mi auguro solo che la BMG (che so essere molto soddisfatta di come è andata la prima collezione progressive, a tal punto che, da un episodio isolato come si pensava che fosse, ne hanno fatta una seconda collana, ristampando di nuovo anche la prima) vada avanti e arrivi a ristampare anche gli altri. Soprattutto gli ultimi due del catalogo di proprietà della BMG, che ti ho detto prima e che sono i miei preferiti. In mezzo, a dire il vero, c'è stato anche Rocchi, un disco molto strano, fatto in casa, semisperimentale, che dubito sia ripubblicato, se non sul filone di questa ondata di ristampe progressive. Penso che La norma del cielo, che già era stato ristampato alcuni anni fa, abbia buone possibilità di uscire (difatti farà parte della nuova ondata di uscite BMG previste per il novembre 2004 ndr). Più difficile è che vadano avanti con Essenza, Il miele dei pianeti le isole le api, Rocchi e Suoni di frontiera, con cui finisce il catalogo dell'Ariston di allora che oggi è della BMG. I successivi sono quelli pubblicati allora dalla Cramps che stanno riuscendo oggi grazie alla Edel. Un altro che meriterebbe la ripubblicazione è il mio disco con la Polygram del 1994, intitolato Claudio Rocchi. Si tratta di un disco cui sono particolarmente legato, anche perché è quello del ritorno. Guardandolo in retrospettiva devo dire che certi episodi, grazie anche alla coproduzione di Lucio Fabbri, secondo me, sentiti ora, hanno un sapore un po' troppo pop, cosa che mi dà un po' fastidio devo dire.
 
MZ: Credo che un esempio di questo possa essere la canzone Sto con me che hai eseguito anche a Brescia e che nella versione con due chitarre acustiche mi sembra assai migliore di quella presente sul disco...
CR: Non c'è dubbio, anche a me piace molto di più! Puoi perciò immaginare che dietro a quei pezzi c'erano delle scritture che poi non sono rimaste e che sono diventate altro e di questo non sono particolarmente felice. Però sono invece molto felice di altri pezzi di quel disco. Tutto sommato il primo brano lungo, Tutto passa con la citazione di Volo magico è un ottimo lavoro. Soprattutto, e di questo bisogna dare molto credito a Lucio e ai tecnici, credo che i suoni di quel disco siano veramente notevoli. Mi piace molto anche l'episodio con Alice, L'umana nostalgia. Questo nonostante Alice, per me in modo inspiegabile, l'abbia praticamente rinnegato inibendomi qualsiasi utilizzo che non fosse quello di stare all'interno dell'album.
 
MZ: Come mai?
CR: Non lo so. Siamo nel campo dei corsi e ricorsi, giri e rigiri della mente umana. La Bhagavadgita dice che è più facile fermare il vento con le mani che controllare la mente, per cui da un momento di grande amicizia e intimità artistica, girato l'interruttore della mente il giorno dopo, è come se quel lavoro si fosse dovuto buttare nel cestino. E' un peccato, perché quel pezzo mi piace molto ancora oggi.
 
MZ: Una delle canzoni migliori del disco secondo me è Fuoco...
CR: Forse è la cosa del disco tutto sommato più vicina a un tipo di approccio allo strumentale e al suono che sta dalla parte della musica elettronica. Ci sono alcune invenzioni e campionamenti davvero interessanti. Un paio di pezzi invece mi fanno davvero rabbrividire per quanto suonano pop come, ad esempio, Buona fortuna. Però, se avrai occasione di sentirli in uno spirito diverso, fatti come sono stati scritti, immagino che possano risultare sicuramente più omogenei con la mia produzione. Per finire non posso non citare un disco fuori del circuito ufficiale, Un gusto superiore, che comunque è stato un lavoro importantissimo che ha avuto un successo in distribuzione davvero esagerato. Veniva venduto porta a porta dai buoni devoti Hare Krsna per i quali è stato prodotto da me e Paolo Tofani. L'abbiamo fatto in tre versioni: italiano, spagnolo e inglese. A proposito di Tofani spero di poterlo incontrare presto. Mi hanno segnalato che è appena rientrato in Italia e che ancora è all'interno dell'esperienza bhakti-yoga. Questi dunque i miei preferiti. Forse, al prossimo disco, riuscirò finalmente a trovare il giusto equilibrio fra elettronica e canzoni.
 
MZ: Facciamo ora un piccolo tuffo nel passato. Puoi parlarmi della tua esperienza con gli Stormy Six, gruppo che personalmente amo tantissimo?
CR: Forse tu apprezzi il gruppo che è nato dopo la mia fuoriuscita.....
 
MZ: Vero. Però le tue canzoni, come ad esempio Ramo e Sotto i portici di marmo, contenute nel primo disco del gruppo, sono probabilmente le migliori dell'album....
CR: Sotto i portici di marmo, a proposito, la sto, al momento, riprendendo in mano per suonarla nei prossimi concerti. Gli Stormy Six hanno comunque rappresentato un pezzo di vita molto bello. Quelli che conosco io sono un gruppetto di giovanissimi studenti che, chissà per quali motivi, già fa dischi post-beat, se vuoi, quasi pre-rock. Infatti, se vado a risentire quel disco oggi c'è la batteria di Toto Zanuso, ad esempio, che è completamente beat per il modo in cui era trattata, suonata e registrata. Con loro ho vissuto una stagione molto bella e intensa di amicizia e di molti concerti, soprattutto in un circuito privato di feste private o aziendali. Non so per quale motivo il nostro impresario di allora ci trovava queste date fuori dai circuiti. Raramente suonavamo nei locali. L'avventura con il gruppo si è conclusa poco dopo quell'album Le idee di oggi per la musica di domani. Già nel disco erano contenuti pezzi miei e io lavoravo anche come autore all'Ariston, che era la nostra casa discografica, e, visto che alla responsabile delle edizioni i miei pezzi interessavano, mi ha chiesto se volevo fare un album di miei pezzi. Io naturalmente l'ho fatto, ed era Viaggio. E da lì è iniziata tutta la mia avventura. Viaggio viene ristampato adesso, e sono la bellezza di 34 anni.....
 
MZ: Cominci a sentirti invecchiato?
CR: Per niente. Per fortuna ho iniziato molto giovane. Comunque non mi ci sento proprio vecchio. Credo nel tempo circolare e poi sono benedetto da molte fortune. Posso dire che mi sento grato al divenire, all'esistenza e alla vita. Ci sono stati attraversamenti intensi e anche molto disomogenei. Mi sembra davvero di aver vissuto molte vite soltanto in quest'ultima, senza stare a scomodare la reincarnazione. Tanto per semplificare mi viene in mente una prima vita da studente fino ai 19 anni; una seconda vita da cantante/musicista fino ai 29 anni; una terza vita da aspirante santo praticante monaco bhakti-yoga induista fino ai 43 anni; e ora sto vivendo la mia quarta vita da rientrato nel mondo. Chissà se sarà l'ultima o ce ne sarà una quinta....
 
MZ: Ma come è nato il tuo interesse per le filosofie orientali?
CR: E' nato dal mio interesse per la filosofia in genere. Io facevo Filosofia alla Statale di Milano studiando la filosofia occidentale. Ma i miei interessi musicali e artistici mi hanno avvicinato all'Oriente, e quindi anche alle filosofie orientali, in particolare al Taoismo prima e all'Induismo dopo, mentre al Buddhismo solo molto marginalmente. Quest'ultimo non è mai stato il mio mondo di ricerca, anche perché assomiglia molto, dal mio punto di vista, a un Induismo declinato un po' diversamente. Ci sono infatti molti settori e iconografie, nei pantheon di riferimento, perfettamente sovrapponibili. All'inizio comunque era un interesse puramente conoscitivo. Del resto tutti, anche senza studiare filosofia, si pongono domande del tipo "come si fa a soffrire di meno o a non soffrire?". Guarda caso questo è il drive principale di tutti i sistemi filosofici e conoscitivi. A furia poi di studiare e di trovare, senza difficoltà, risonanze, a un certo punto mi sono detto letteralmente che non avrebbe avuto ulteriore senso continuare a studiare e basta. Sarebbe stato come continuare a leccare un barattolo di marmellata dal di fuori e quindi sentire continuamente sapore di vetro. Se poi tu scambi il sapore di vetro con quello della marmellata che è contenuta nel barattolo allora sei pazzo...
 
MZ: Hai dunque deciso di togliere il coperchio?
CR: Più che altro ho deciso di tuffarmi dentro e di fare un'esperienza dal di dentro. Questo perché a farle dal di fuori, non riuscivo a sentire altro che sapore di vetro. Mentre invece, buttandomi dentro, posso testimoniarti di aver assaggiato molte diverse marmellate arrivando poi, dopo un lungo ciclo di tre lustri, ad avere voglia di tornare nel mondo, visto che quella era stata a tutti gli effetti una vera e propria uscita dal mondo stesso. E al mio ritorno sono stato accolto con un sorriso. Mi ha sorriso Radio Rai, ad esempio, visto che appena rientrato, c'era un remake di Per voi giovani su cui sono saltato al volo e poi una serie di programmi, che ricordo con molta intensità e piacere, come Radio Starship per Radio Due. Poi ho scritto su varie riviste, musicali e non. In pratica i miei soliti modi di vita espressivi e di lavoro.
 
MZ: E anche nelle tue esibizioni tendi a mischiare molto queste cose....
CR: Infatti. I readings possono essere considerati come delle cose semiradiofoniche. E poi ho introdotto anche l'utilizzo di filmati anche se non è del tutto vero che sia un'idea recente. Già nel 1975, credo, giravo in Super 8 dei documenti che utilizzavo quando facevo degli interventi, che non erano più concerti, nel periodo del "basta canzoni". Andavo in giro con una performance di stampo misto proiettando i miei filmini Super 8 esattamente come adesso proietto i video montati, usavo i sintetizzatori, i registratori. Il tutto in una performance che si chiamava Mirage, di cui si può trovare traccia anche nel mio sito, fatta in un modo che, tutto sommato, assomiglia molto a quello che sto facendo adesso.
 
MZ: Dunque non è un'idea di questi ultimi tempi....
CR: No. E questo per dire che usare i vari linguaggi, proprio in senso creativo, è sempre stato un mio pallino. Recentemente poi ho recuperato anche il mio amico fotografo Gabriele Di Bartolo. Sue sono le 20 mila fotografie digitali del film Pedra Mendalza e sue anche le fotografie di un magazine che abbiamo fatto l'inverno scorso per Raisat Milano Music Magazine, una sorta di rivista settimanale sui mondi della musica milanese. E' da lì che ci è venuta l'idea di fare un film, perché alla fine di questo magazine ho visto che, facendo lui foto e girando io in digitale, si poteva gestire un prodotto misto. Da lì è nata la storia e la sceneggiatura che ci ha portato a fare questa avventura l'estate scorsa in Sardegna. Io credo davvero che abbiamo girato una storia bellissima soprattutto perché fatta con pezzi di cuore di tutti quelli che hanno partecipato. Tutti i tecnici, attori, truccatrici, cuoca, tutti quelli del gruppo sono venuti per amore, affascinati sia dalla storia sia dall'idea di andare a vedere dei posti in Sardegna veramente non noti che non c'entrano niente con la Sardegna turistica, con la Costa Smeralda e con quelle follie. Anzi, sono esattamente il contrario. Sono dei pezzi di realtà sarda ancora storicamente e culturalmente sarda e direi anche magicamente sarda, in senso proprio sciamanico. C'è una cultura in Sardegna di tradizioni popolari, testimoniata da studiosi locali molto preparati, cui ho attinto abbondantemente per le bibliografie di riferimento. Sono comunque i mondi della Sardegna addirittura prenuragica, che porta avanti tradizioni che sono assimilabili completamente ai mondi sciamanici di altre parti d'Europa. Giusto per dire che il rapporto con il cosiddetto magico, sciamanico, trasformativo, coi linguaggi di certe esperienze che si potrebbero perfino definire tantriche, sono trasversali su tutto il pianeta. Ci sono certe esperienze che culturalmente vengono classificate come centro-americane , dove c'è una scuola sciamanico-visionaria particolare, che è quella più nota nel mondo dagli insegnamenti di Castaneda. Va detto però che Castaneda è il più "pop" di tutti. Quelli undergound indipendenti della zona sono invece di gran lunga i migliori, anche se poi di solito è solo la schiuma pop-commerciale che emerge. Un'altra scuola, completamente diversa però identica è quella che, da una parte, ha radici siberiane-tibetane-mongoliche e che poi è assolutamente identica e sovrapposta a quella cosiddetta nativo-americana dei pellerossa. Questo può anche dipendere dal fatto che una buona metà dei popoli nativo-americani (l'altra metà viene dal Centro America) viene dall'Asia, dallo stretto di Bering e dai viaggi che sicuramente hanno fatto impiantando sistemi cosmogonici assai simili. Due popoli in particolare, i Lakota (o Sioux) e i Navajos hanno cosmogonie perfettamente sovrapponibili a quelle tibetane e quindi anche modi, sistemi di riferimento e tradizioni identiche. Ci sono poi tutti i mondi oceanici, polinesiani, hawaiani che sono ancora di un altro ceppo eppure sostanzialmente identici.
 
MZ: Viene da dire che, in fondo, gli esseri umani, sono gli stessi in ogni parte del mondo....
CR: Certo. C'è anche qualcuno che dice, in virtù di queste conoscenze, che gli esseri umani sono frutto di diversi atterraggi di UFO, di genti simili che sono sbarcati con le stesse culture, in diverse zone del pianeta lasciando dei semi che poi la storia ha cancellato, nascosto e stravolto. Perciò sembra che siano diversi ceppi nel pianeta Terra, ma a me risulta molto credibile che siano tutti lo stesso ceppo poi tripartito. Una suggestiva ipotesi è che questa tripartizione sia dovuta a sistemi non terrestri. Fra l'altro c'è un'altra curiosissima traccia non terrestre su questo pianeta. Si trova in Africa presso il popolo dei Dogon.

MZ: Quelli che conoscevano l'esistenza della stella Sirio?
CR: Esattamente. Come vedi, ci sono molte tracce che, a non volerle trascurare, sono significanti a favore di una circolazione universale molto più allargata di quella che può essere dal Polo Nord al Polo Sud del pianeta Terra.
 
MZ: Facciamo di nuovo un passo indietro. Negli Anni Settanta c'è stato un vero e proprio fermento dal punto di vista musicale. Tu che ne sei stato protagonista puoi raccontare che tipo di atmosfera si respirava?
CR: Sono stati un momento straordinario. A tutt'oggi mi sembra che, come rapporto qualità-prezzo per così dire, fra ispirazione e mercato, siano ancora non ripetuti nella storia recente. Gli anni Settanta italiani, in particolare, sono figli, dei Sessanta anglo-americani. Non c'è nessuno dei modelli italiani che non sia riferibile a qualche altro modello anglo-americano. I miei, ad esempio, furono Roy Harper soprattutto, poi i Byrds e implicitamente e ovviamente anche Dylan e Donovan. Magari, dal mio punto di vista, forse più Donovan perché è stato di certo meno clonato rispetto a Dylan. Ritornando alle origini, non so Roy Harper che radici possa avere, però, se mai ha delle radici di somma, sono senz'altro miste con qualche parte di Dylan e qualche parte di Donovan, ma anche con qualche parte dei Pink Floyd e di Syd Barrett e dei mondi inglesi allucinati e visionari di quel momento. Comunque Roy Harper era veramente un grande. Io l'ho visto, l'ho amato e l'ho ascoltato sia su disco che dal vivo e quindi a lui do un credito importante perché mi ha fatto vedere un modo inedito di fare il folksinger, un termine che qui da noi è stato declinato dopo col termine cantautore. Sulle note di copertina di Viaggio ancora adesso giustamente si dice che, a quel tempo, i cantautori erano Endrigo, Paoli e Bindi non esistevano altri.
 
M.Z.: Forse solo De André...
CR: Certo. Ma la generazione, diciamo così, più moderna, è arrivata dopo di me. Di questo devo dare credito più che a me stesso ai viaggi che facevo frequentemente a Londra ogni volta che potevo, da studente e bassista degli Stormy Six. Ci andavo perché mi piaceva molto e perché mi sembrava di andare dieci anni in avanti con un'ora di aereo. E così, al contrario, tornando in Italia, mi sembrava di atterrare dieci anni più indietro. E vedere con una certa frequenza nei club inglesi o nei vari festival tutto questo mondo di inglesi esageratamente evoluti musicalmente, nessuno escluso, mi ha certamente influenzato. Ricordo di avere visto i Van Der Graaf Generator per la prima volta alla Roundhouse nel 1970, prima che fossero noti in Italia, in cui fra l'altro furono poi più famosi che in Inghilterra. E poi vidi anche Peter Hammill da solo, con la chitarra acustica, sempre in quel periodo. Ad ogni concerto che vivevo allora, ad ogni artista visto on stage in quei giorni, posso dare qualche pezzo di credito perché proprio era come un'ispirazione totale. Anche le più impensabili, ad esempio. Per dirti, Rory Gallagher con i suoi Taste. Un grandissimo chitarrista, molto più sconosciuto di personaggi più acclamati come Clapton o Beck, ma che era un mostro di bravura. Ebbene lui, grande chitarrista elettrico, a volte faceva dei set solamente acustici, che mi hanno colpito perché mi hanno fatto vedere quanto potevano essere intensi e vasti i mondi di espressione acustici. Anche a lui dunque va un credito. E poi anche un credito a tutta la scuola di fine anni Cinquanta, primi Sessanta della musica moderna e contemporanea.
 
M.Z: Dei famosi corrieri cosmici tedeschi che mi dici?
CR: Loro hanno preso un'onda interessantissima. Ma poi è grazie a loro, o per colpa loro se vuoi, che si è evoluto il mondo dei "tumpa-tumpa", tutta la disco dance, trance e quel mondo lì che, per le parti più illuminate, è una ricerca interessantissima ancora oggi, ma per le parti più volgari è un tremendo inquina-coscienze.
 
M.Z.: Che ne pensi della scena musicale attuale? Ritieni che ci sia ancora spazio per una proposta come la tua?
CR: Ci sono alcuni talenti esagerati nel presente, ancora non noti. Guardando in Inghilterra, ad esempio, mi ha colpito tantissimo un inglese che si chiama Jont che ha una scrittura un po' alla John Martyn. E' un ragazzo giovanissimo, londinese, che mi è capitato di vedere a Milano. L'ho incontrato e intervistato alla Casa 139 in via Ripamonti, un club dove fanno programmazioni spesso interessanti. E' un folksinger, poeta davvero esagerato, e un chitarrista sullo stile un po' proprio di John Martyn. Conosco un ragazzo norvegese, Terje Nordgarden, che ha fatto un primo disco in Italia con un'etichetta indipendente e che, tra l'altro, partecipa anche al mio film. E l'ho voluto perché lo considero veramente bravissimo. Poi sai tutti questi della nuova generazione sono un po' nipoti di Jeff Buckley che, a sua volta, è figlio di Tim Buckley che, a sua volta, è figlio anche lui in qualche modo di Dylan. Per farla breve tutto si ricollega a quel decennio 1962-1972 dove è successo tutto in termini musicali ed è successo a sufficienza perché ancora molta di quella musica sia viva e sia ristampata e, soprattutto, sia origine di ispirazione per musicisti di generazioni successive. Per cui adesso si può fare tranquillamente un gioco: tiri fuori le carte della musica degli Anni Novanta e poi le associ alle sorgenti originarie.
 
M.Z.: Non trovi che la cultura musicale di oggi sia molto bassa? Molti dei concerti veramente validi, fra cui anche i tuoi, sono frequentati davvero da un pubblico assai poco numeroso.....
CR: Non sempre però. Ieri, ad esempio, sono stato a vedere Bob Dylan e c'era molta gente, nonostante lui faccia di tutto per non concedere nulla al pubblico, in un modo che io capisco perfettamente poiché, anch'io, a modo mio e fatte le debite proporzioni, ho vissuto una sindrome simile. Quando non ce la si fa più a riproporre le canzoni che ti chiedono e che vogliono sentire da te, l'unica strada possibile è di farle in un altro modo, che la gente magari non conosce e non identifica e quindi stenta anche ad amare. Però dal punto di vista di chi le ha scritte è l'unico modo per potercisi riavvicinare. Io ricordo molte volte di aver stravolto pezzi miei storici perché non ce la facevo più a essere sufficientemente ed energeticamente sincero nel risuonare una cosa che è d'abitudine e di mestiere e che hai suonato migliaia di volte nello stesso modo. Per cui apprezzo grandemente chi stravolge le proprie cose a questo modo, così come apprezzo grandemente chi è in grado di improvvisare, cosa che non è molto diffusa come linguaggio espressivo nei mondi della musica. E' più diffusa, ad esempio, nei mondi della poesia. Per tornare in Sardegna c'è una tradizione di improvvisazione e di poeti che fanno delle gare. Su uno schema metrico prestabilito si improvvisa finché qualcuno non ce la fa più. A me invece piace molto improvvisare.
 
MZ: La tua entrata a sorpresa a Brescia dal retro del teatro e il successivo divertente monologo vanno dunque intesi in questo senso?
CR: Certo, quella era totalmente improvvisata e queste sono le cose che mi fanno divertire e mi hanno fatto tornare voglia di misurarmi con il pubblico anche perché un ritorno sul palco solamente per rifare le vecchie canzoni avrebbe avuto davvero poco senso. Invece rifarle in modo nuovo, condirle con contributi del presente e improvvisare mi ha fatto tornare la voglia. Fra l'altro l'improvvisazione qualche volta prende molto più tempo del pezzetto iniziale di Brescia.
 
MZ: Cosa è per te il rock progressivo? E' una definizione che è arrivata successivamente oppure già vi definivate come tali?
CR: Mi fai venire una curiosità. Fino a un certo punto non lo si chiamava così, però, a un certo punto, io, mi pare assieme a qualcun altro ma non ne sono sicuro, abbiamo proposto all'Ariston di fare una label separata. Si chiamava Produzione Gnomo e il logo era simile a quello dei Gentle Giant e fra le due mani, se non ricordo male, gli abbiamo messo la scrittina progressive. Comunque adesso controlliamo (Claudio si alza e mette mano a un baule contenente copie delle prime edizioni viniliche dei suoi dischi. Dopo un po' ne esce con una copia di Volo Magico in cui sull'etichetta interna al disco è presente proprio lo gnomo cui faceva riferimento e la scrittina progressive ndr). Quello che si può dire, dunque, è che non so da dove viene questa definizione di progressive. Ma è certo che nel 1970 consigliai io personalmente, ma può darsi che fosse coinvolto anche Massimo Villa (il bassista che mi ha sostituito negli Stormy Six, che era mio amico e collega a Radio Rai, e con cui ho sicuramente discusso della cosa) di fare un'etichetta per i dischi più intelligenti, non pop, dell'Ariston, che si chiamava produzione Gnomo con la scritta progressive. Non so poi se qualcuno l'ha preso da lì o se è stata un'epidemia collettiva che in più parti del mondo ha preso come un'influenza varie persone.
 
MZ: Abbiamo scoperto come è nato ma, a tuo parere, il progressive è morto già negli anni Settanta?
CR: Pensa che io non ho nemmeno capito esattamente perché mi hanno messo dentro il progressive. Per il poco che ho capito del progressive mi sembra che i gruppi italiani di allora tipo PFM, Banco e tutti gli altri, facessero musica, io la chiamo volumetrica, piena di varianti, variazioni, temi, controtemi, riprese, overture, molto frammentata secondo me. E dunque in quella definizione non mi ci ritrovo per niente anche se, bontà loro, gli studiosi di quel periodo, mi ci inseriscono. L'episodio unico mio che potrebbe essere assimilato ai linguaggi del progressive è la suite di Volo magico perché è lunga come un classico episodio progressive. Però quello che ho cercato di fare io è di farla crescere dritta dritta dall'inizio alla fine senza mai frammentarla in cambiamenti, sincopi, rotture che erano quei linguaggi esagerati, velocissimi, da grandi musicisti, quali erano alcuni dei gruppi di quel tempo. Questi però, per la mia visione un po' più psichedelica, rilassata e contemplativa, erano troppo frammentati. Se vado qualche anno indietro mi ricordo che lo stesso effetto me lo faceva un gruppo, straordinario peraltro, che però io non ho mai amato molto: i Soft Machine. Erano sicuramente straordinari, ma con un approccio ritmico e di linguaggio molto frammentato, sincopato e veloce, con tempi molto serrati. Io invece ero più per un'idea di un tempo molto largo, molto lungo.
 
MZ: Un po' quello che ha fatto Robert Wyatt qualche anno dopo la sua fuoriuscita dai Soft Machine.....
CR: Esatto. Di certo grazie anche a quell'esperienza così frammentata coi Soft Machine si è aperto poi a un altro tipo di esperienza. Un altro maestro storico del genere, anche se un po' impropriamente, è, a mio parere, Frank Zappa che, allo stesso modo, ha inventato questo linguaggio quasi teatrale così vario e vasto. In Italia credo si sia sviluppato un bel movimento, però solo dopo l'avvento dei Genesis che poi sono la vera matrice e radice di quel mondo lì. Non so poi se esista qualcuno prima e da dove parta chi studia il progressive.....
 
MZ: C'è chi fa risalire le origini, o comunque le prime avvisaglie, addirittura ai Procol Harum e ai Moody Blues....
CR: Certo i Moody Blues hanno fatto delle cose straordinarie e in un certo senso ci può stare.
 
MZ: Ho sentito qualcuno parlare addirittura di Sgt. Pepper's....
CR: Vabbè, allora tutto. In quest'ottica anche Tommy è progressive. Certo uno degli elementi del progressive è quello del concept, del raccontare una storia attraverso vari pezzi e in quel senso possono starci anche i Moody Blues, però non più di tanto, anche perché il periodo sinfonico, col mellotron, è già successivo. Quando penso a tutti quei gruppi inglesi mi piace ricordarmeli nelle loro origini. Tutte le trasformazioni e crescite successive sono sviluppi importanti e personali ma non punti di partenza. Certo i punti di partenza non finiscono mai. Vai a vedere ad esempio i Them di Van Morrison e vuoi che non avessero radici nel blues nel modo in cui cantava lui o usava l'armonica? Qualcun altro dice che Dylan è caposcuola. Ma perché non puoi, ad esempio, andare a vedere Johnny Cash e poi Muddy Waters e poi i canti di lavoro e così via. E allora va a finire che per il blues arrivi in Africa a cercare le radici e poi ti fermi in qualche villaggio dove suonavano i tamburi. E per i mondi celtici arrivi ai trovatori. Per cui come vedi è complicato trovare radici. Poi il mio amico Walter Maioli è andato così in là nella ricerca di radici che ora fa una ricerca, tra l'altro con piglio e serietà da etnomusicologo, attraversando prima tutti i mondi della romanità e della musica latina; poi quella egiziana da cui quella latina in una certa misura proviene; e ora studiando la musica etrusca. E certe ricerche che fa Walter adesso sono così evolute tanto da fargli utilizzare lo slogan di "Ritorno al futuro". Ed è davvero così. Ci sono degli approcci ai mondi sonori che vengono da culture e da storie di migliaia di anni precedenti che sono evolute e sottili come certe ricerche d'avanguardia di adesso. Tu senti un pezzo da 16 tracce sovrapposte di sistro, che è uno strumento tipo un cembalino, che si suona come un tamburello con i piattini del rock, e ne viene fuori una suite elettronica. Il campo di frequenze interessato è così vasto, così alto e così risonante che soltanto la musica elettronica può fare qualcosa di simile. Quindi diciamo pure che tutto è gloriosamente Uno.
 
MZ: E che alla fine un pezzo musicale altro non è che un'opera d'arte.....
CR: E quindi passa per il cuore, per l'ispirazione, e quindi è nel presente
 
MZ: Anche perché, di fatto, passato e futuro non esistono, esiste solo il presente....
CR: Non c'è dubbio. Anche in dimensioni apparentemente accostate e parallele. Mi spiego: nello stesso luogo e nello stesso tempo sono presenti tutti i tempi di quel luogo apparente e di quel tempo apparente. In realtà dunque non esistono né lo spazio né il tempo, nel modo in cui sono concepiti tradizionalmente.
E con questa affermazione si è chiusa la nostra chiacchierata, almeno quella immortalata sul registratore portatile. Ne è venuta fuori l'immagine di un artista disponibile, curioso e piacevolmente logorroico con cui non si corre certo il rischio di annoiarsi. Il consiglio dunque è di andare a vederlo on stage se capita dalle vostre parti. La performance dura oltre due ore ma nessuno, almeno a Brescia, si è accorto del passare del tempo. Ma di questo c'è poco da meravigliarsi, dato che il tempo, come dice lo stesso Rocchi, è circolare.......

Mastro Gobbetto
Novembre 2004

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