| Brani: | |
1-The Strands Of The Future; 2-Flight; 3-Windows; 4-Fool's Failure. |
|
| Formazione: | |
| Victor Bosch: drums, percussion; Gilbert Gandil: guitars, vocals; Roland Richard: flute, strings; Jacques Roman: organ, Mellotron, bass, synthesizers. | |
| 1976, Kingdom Records |
A distanza di un anno dal primo ottimo album i Pulsar si riaffacciano con questo The Strand of the Future. Il secondo lavoro si presenta più compatto e maturo, i francesi riprendono in mano e ampliano quanto di buono prodotto fino allora.
Questa volta ad aprire il disco è la suite che dà il titolo all’album, le tastiere di Jacques Roman traducono in musica il paesaggio notturno rappresentato in copertina, un paesaggio etereo, dove l’incedere della sessione ritmica e della chitarra cominceranno a renderlo oscuro. Le soluzioni adottate e gli arrangiamenti non si tradurranno mai in abissi di angosciante disperazione, lasciando tuttavia nell’ascoltatore un vago senso d’inquietudine latente, ogni volta stemperato dal ritorno al clima iniziale, grazie al suono delicato del flauto e alla magniloquenza delle tastiere. E’ proprio il maggior utilizzo di sintetizzatori ma soprattutto del mellotron ad essere una delle novità dell’album, complice anche la collaborazione tra Roman e Roland Richard quando quest’ultimo non impegnato ai fiati. La suite, risulta quindi un ottimo brano tuttavia nei diversi momenti si avverte una certa meccanicità, a scapito della naturalezza che aveva contraddistinto i brani del precedente album.La successiva Flight è un intermezzo di due minuti caratterizzato da un sapiente uso del mellotron oltre che dei cori, su cui si inserisce nel finale il flauto. Pur nella sua brevità il pezzo risulta essere tra i migliori episodi dell’album.
La stessa trama è ripresa nella successiva Windows dove questa volta è la chitarra di Gilbert Gandil a prendersi lo spazio per un assolo dal sapore psichedelico, per poi lasciare poi il posto al flauto sognante di Richard, che finalmente riesce a ritagliarsi uno spazio da protagonista.
Chiude il disco Fools faillure, forse il brano più oscuro, ma forse anche il più debole del lotto. Il canto si fa più sofferto, e i ritmi più serrati, complice la base spettrale dettate dalle tastiere. Sia chiaro, non siamo certo davanti ad una rovinosa caduta, ma il risultato nei suoi cambi di tempo e nelle sue riprese non sembra restituire un senso di compattezza, e i momenti sembrano forzatamente accodati.
In conclusione The Strand of the future, nonostante qualche piccolo neo, segna sicuramente un progresso rispetto al precedente Pollen, risultando però più freddo e forse un po’ troppo studiato. Ciò non toglie che questo secondo disco sia un’opera godibilissima che farà la felicità degli amanti del progressive sinfonico e soprattutto dei fan della band.
Roberto Cembali
giugno 2013

Nessun commento:
Posta un commento