| | Brani: |
| 1-Alle sorgenti di Kronos; 2-Aevum; 3-Phi-Ur | |
| Formazione: | |
| Runaway Totem Cahål de Bêtêl: vocals, guitars, synthguitars, piano, keyboards, synthesizer, atmosphere noise; Tipheret: drums, percussions, gamelan, piano, keyboards, voice; Dauno Giuseppe Buttiglione: telluric bass; Issirias Moira Dusatti: vocals; Hor-Douaty: cover and inside art, webmaster. Guests Mirko Pedrotti: vibraphone; Anna Boschi: flute; Nadia Bortolamedi: clarinet; Mauro Biatel (Fotobiatel): graphic support. | |
| Producer: Runaway Totem 2009 Runaway Totem Records - Durata totale: 72:26 |
Quando
tra la fine degli anni '80 e l'inizio degli anni '90 si cominciava a
vedere un certo movimento di riscoperta e di riproposizione del
progressive italiano, una realtà che risultò subito fuori dagli schemi
fu quella dei Runaway Totem. A distanza di sedici anni dall'esordio Trimegisto, questa particolarissima band giunge con Manu Menes al settimo album e al secondo movimento dell'ambizioso ciclo 4 elementi 5.
Prima le campane, poi il ticchettio di un orologio vanno ad aprire la prima suite Alle sorgenti di Kronos. Le tastiere, tocchi improvvisi di piano e qualche colpo di batteria creano poi un'atmosfera sinistra, che si protrae per lunghi minuti. Più passa il tempo più la tensione aumenta a dismisura. I crescendo strumentali, con il tic-tac ancora in sottofondo, uniti a rumori di corse e porte sbattute, ci portano agli otto minuti dove iniziano parti recitate che ci fanno immaginare una rappresentazione teatrale surreale. La band riesce a farci trattenere il fiato, asfissiandoci anche con i ritmi cadenzati e solenni che partono quando si avvicinano i dieci minuti della composizione. E' una lunga agonia che si protrae indolente per oltre ventiquattro minuti di chamber-rock oscuro e drammatico.
Prima le campane, poi il ticchettio di un orologio vanno ad aprire la prima suite Alle sorgenti di Kronos. Le tastiere, tocchi improvvisi di piano e qualche colpo di batteria creano poi un'atmosfera sinistra, che si protrae per lunghi minuti. Più passa il tempo più la tensione aumenta a dismisura. I crescendo strumentali, con il tic-tac ancora in sottofondo, uniti a rumori di corse e porte sbattute, ci portano agli otto minuti dove iniziano parti recitate che ci fanno immaginare una rappresentazione teatrale surreale. La band riesce a farci trattenere il fiato, asfissiandoci anche con i ritmi cadenzati e solenni che partono quando si avvicinano i dieci minuti della composizione. E' una lunga agonia che si protrae indolente per oltre ventiquattro minuti di chamber-rock oscuro e drammatico.
Nemmeno il tempo di riprenderci che partono i ventuno minuti e mezzo di Aevum:
tappeto di tastiere e canto maschile enfatico all'inizio, poi le
pulsazioni del basso, seguite da una batteria che ora viaggia più
spedita, ci spingono in un particolare territorio di dark-rock sinfonico
con qualche tratto psichedelico. Le ossessive accelerazioni, con
l'alternarsi e con gli intrecci di chitarra elettrica e di tastiere,
fanno pensare ad un misto abbastanza inusuale di King Crimson, High Tide, Pink Floyd e Magma.
Nella parte centrale la composizione si fa un po' più rilassata, entra
la voce femminile e il basso è ancora lì minaccioso, contribuendo a
mantenere invariata la venatura a tinte fosche. Nel finale ci sono
nuovamente ritmi veloci e parti strumentali nervose e vagamente frippiane.
E si arriva all'ultima traccia, Phi-Ur, che è una vera meraviglia! All'inizio le dissonanze e le stravaganti parti vocali fanno pensare ad un mix di rock d'avanguardia e classica moderna, ma ben presto la composizione si fa più maestosa. I sobbalzi ritmici, con tempi che variano in continuazione, le improvvise fughe strumentali che si orientano persino verso lidi jazzistici (col vibrafono in bella evidenza) e la voce femminile contraddistinguono i primi cinque minuti, cui fa seguito una parte più medidativa, dapprima d'atmosfera e poi dal sapore zeuhl, con canto maschile evocativo, sospinto dal basso che continua a martellare e seguito da melodie oniriche di flauto e da un nuovo solo di chitarra. Si prosegue su queste caratteristiche fino al ventesimo minuto, quando è di nuovo il flauto che con un lungo, elegante e magnifico assolo precede la conclusione del lavoro, affidata a nuove dissonanze e sperimentazioni. Non ci poteva essere chiusura più degna per un album di tale livello!
I Runaway Totem si confermano abbastanza unici in una proposta dark-prog che grazie a Manu Menes li spinge verso uno dei momenti qualitativamente più alti della loro carriera.
Peppe
marzo 2011
marzo 2011
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