Brani:
1-Old faces at Heaven’s Gate; 2-Pure February¸3-Prelude I; 4-Septembrist; 5-Fugue I; 6-4th of July; 7-Prelude II; 8-Riding the march of dimes; 9-Fugue II; 10-Case of January; 11-Prelude III; 12-June daze; 13-Fugue III; 14-No, No, November; 15-Prelude IV; 16-St. Augustine; 17-Fugue IV; 18-Faces from old photos rediscovered; 19-Prelude V; 20-Maybe, maybe not; 21-Fugue V; 22-April’s fool; 23-Prelude VI; 24-Man of December; 25-Fugue VI
Formazione:

Julian Colbeck: keyboards. Jonathan Cohen: Steinway grand piano.

18 written and read by Brian Keenan. 1 written and sung by May Hopkin. John Kebble plays marching drums on 8-9. Steve Hackett plays acoustic guitar on 1, 18, 19. Milton McDonald plays the guitar solo on 24-25.

Produced by Julian Colbeck and Chris Macleod

2009 ristampa Voiceprint -  Durata totale: 63:50

 

Noto agli appassionati di prog per le sue collaborazioni con Anderson-Bruford-Wakeman-Howe e, soprattutto, con Steve Hackett, Julian Colbeck è un tastierista navigato, i cui esordi risalgono già alla prima metà degli anni ’70. Prima che iniziasse il suo proficuo sodalizio con Hackett, Colbeck realizza nel 1991 questo album particolare, coadiuvato dal pianista Jonathan Cohen e con la partecipazione, tra gli altri, dello stesso ex chitarrista dei Genesis.

Come il titolo lascia già presagire, si tratta di un disco in cui vengono rielaborate delle opere di Bach e, precisamente, una serie di Fughe e di Preludi. Colbeck si cimenta in questo lavoro sfruttando i timbri elettronici delle tastiere ed aggiungendo una batteria elettronica non troppo pesante, mentre Cohen rifinisce al piano. Qualcuno potrà dire che, come per ogni tentativo di riproporre in chiave rock immortali pezzi classici, si tratta di una sfida persa in partenza. Ovviamente l’intento di molti musicisti che si lanciano in simili prove non è certo quella di paragonarsi ai grandi maestri del passato, quanto, piuttosto di andare a cercare nuove soluzioni per la propria musica e vedere come possono coesistere tecnologia e opere classiche. In questo caso, attraverso una serie di tracce brevi, riscontriamo un prodotto che presenta affinità sia con il prog che con la new-age, che non sarà mai annoverato tra le migliori trasposizioni moderne di composizioni storiche, ma che pure ha la sua dignità e la sua particolarità. L’album, che era da tempo fuori catalogo, ma che è stato recentemente ristampato, può rappresentare una chicca interessante per chi ama molto le connessione tra progressive e musica classica e per chi non si lascia sfuggire niente in materia Steve Hackett, qui presente con un paio di interventi brevi, ma caratterizzati dalla consueta classe.

Peppe

Dicembre 2009