Brani:

1-Prologue; 2-Cassandra; 3-Evil Rose; 4-Subterreans; 5-Funebre Dea; 6-The prophet’s song; 7-No reason why; 8-Gates of Babylon; 9-Orphic

Formazione:

Sophya Baccini: voce; Sergio Casamassima: el. guitar, bass guitar; Enrico Iglio: keyboards. Special guest: Valerio Silenzi: drums

2008, Black Widow - Durata totale: 68: 46

 

L’ultimo disco in studio dei Presence, Gold, risaliva ormai al 2001. L’attesa per un nuovo album è stata lunga, ma è ben ripagata con Evil Rose, lavoro che vede la band napoletana in forma pressoché perfetta.

A partire dalla strumentale Prologue entriamo subito nel loro mondo fatto di un heavy-prog oscuro, ritrovando pienamente il marchio di fabbrica Presence in composizioni quali Cassandra, Subterreans e Funebre Dea. Come hanno sempre fatto, i musicisti puntano su un sound granitico, a tratti anche molto duro, carico di riff lancinanti, che parte dall’hard rock dei Led Zeppelin per arrivare a potenza metal e a impressioni gothic; eppure sono capaci di inserire in questo contesto aperture classicheggianti maestose o oasi  di delicatezza che non fanno venire mai meno il senso di inquietudine. Ovviamente un punto forte resta la voce squillante della Baccini, che continua ad essere interprete perfetta delle visioni sonore del gruppo. No reason why è un episodio più particolare, con 3 minuti e 19 secondi di malinconica eleganza, per quello che è il brano più romantico e melodico del cd, articolato tra voce, tastiere d’atmosfera, piano vagamente jazz e raffinatezze elettriche di chitarra. La title-track è invece una suite di 18 minuti e mezzo di fascino inquieto: aperta da un romanticismo sinistro - piano e voce in evidenza – e narrando la fine di un amore, prosegue tra i soliti slanci aggressivi, momenti di prog sinfonico à la ELP ed un dark sound dai toni moderni, scandito dalle note tormentate del basso e da echi di classico doom sabbathiano. Una composizione notevolissima che va considerata tra le cose migliori fatte dai Presence nella loro carriera. A completare l’opera, due cover: The Prophet’s Song, firmata Bryan May e presente nel repertorio dei primi Queen ed un classicissimo dell’hard-rock, la mitica Gates of Babylon dei Rainbow, entrambe rivisitate in maniera personalissima dalla band.  

Peppe

Gennaio 2009