Brani:

1-Flight of Shamash; 2-Choir of life; 3- ; 4-Dreams of butterflies; 5- ; 6-Spirit of time; 7-Desert blues; 8-Sometimes; 9-A giant's lullaby; 10-Dark horizons

Formazione:

Bandmembers
Andre Jensen Deaya: mellotron, Rhodes 73, acoustic 6-12 strings, synthesizer, piano, mandolin, sampling, vocals; Ronny Borge (Johansen): synthesizers, mellotron; Kim A. Lieberknecht: acoustic and electric drums, loops & programming.
Additional members
Jon Erik Gretland: electric guitar; Christian Torp: bass
Additional artist
Trude Bergil: vocal on 2; Odd Andre Helle Holm: saxophones; Tom Roger: flute on 2 and 10; Alexander Knøsmoen: guitar on 5; Endre Tønnesen: bass on 5

Prodotto da: Kvazar
Anno: 2006, Musea - Durata: 64:30

I Kvazar si erano affacciati nel panorama del progressive con un bell'album intriso di atmosfere nordiche e debitore delle esperienze di inizio anni '90 degli Anglagard e degli Anekdoten, rielaborandole, però, abilmente, a modo loro. Dopo qualche anno giunge l'atteso secondo lavoro, dal titolo A giant's lullaby, che mostra musicisti che si sono affinati ulteriormente e che intraprendono un discorso che guarda ulteriormente avanti, che viaggia fuori da qualsiasi schema consolidato.

E questa è una cosa che si dimostra immediatamente, vista una partenza decisamente alla grande con Flight of Shamash: musica in crescendo costante e poi canto in stile gregoriano, che dà allo stesso tempo sensazioni sacrali e gotiche. Tra rallentamenti e accelerazioni, con una chitarra spacey, tastiere a tessere trame raffinate, qualche spunto vagamente à la Pink Floyd, atmosfere inquiete e vocalizzi conturbanti si prosegue fino a superare i nove minuti. Choir of life parte e si sviluppa in maniera quasi folk, un po' sulla scia dei White Willow, tra ritmi curiosi, flauto, un mandolino ben presente ed una calda voce femminile, ma si denotano anche temi più elaborati, grazie a parti strumentali ipnotiche e ad un mellotron costantemente in sottofondo. In Dreams of butterflies, composizione forse più vicina a quelle dell'esordio, emerge invece maggiormente l'influenza della scena svedese degli anni '90, con intrecci strumentali affascinanti, simili agli Anglagard, quel mellotron utilizzato alla maniera degli Anekdoten e cambi di tempo continui. Arricchisce il tutto, però, un sax suonato elegantemente ed un finale curioso che si spinge verso territori jazzistici. Con Spirit of time ancora un passo diverso: siamo a cavallo di uno space-rock moderno, elettronico, ma non troppo, fantasioso, che può ricordare i Djam Karet maggiormente floydiani. Altro passo decisamente riuscito! Eppure le sorprese non finiscono, visto che con Desert blues si ascoltano melodie che portano all'oriente e suggestioni psichedeliche, mentre con Sometimes i musicisti si avventurano felicemente nel jazz. Ancora, jazz, ma maggiormente misto ad un prog romantico e malinconico nei dieci minuti della title-track, mentre il finale affidato a Dark horizons chiude alla grande il cd, grazie ad una composizione multiforme, a cavallo, tra nervosismi crimsoniani e venature cosmiche. Similmente al primo album, poi, ci sono due brani brevi, senza titolo e strumentali; entrambi si mantengono in questa vena un po' sperimentale e un po' tradizionalista, con chitarra e tastiere che interagiscono magnificamente e i ritmi sempre pronti a passare da flussi costanti a variazioni improvvise. Insomma, questo nuovo lavoro dei Kvazar è davvero ricchissimo di idee, che vengono esposte con una musica altrettanto opulenta, piena di riferimenti derivanti da molteplici influenze (e anche in queste si ravvisano sia vecchie glorie che nomi importanti del recente passato), eppure sviluppata in maniera assolutamente personale Raggiunta già la maturità piena, cosa tutt'altro che facile, al secondo disco; un disco bellissimo, un disco pieno di fantasia, un disco intrigante, un disco che nonostante le molteplici e diverse influenze si mantiene magicamente omogeneo, un disco da avere!

Peppe
Novembre 2006