Si può serenamente affermare che negli anni '70 il progressive è stato un fenomeno “universale”, intendendo con questo termine non solo il fatto che i nomi più conosciuti, di provenienza britannica, vendevano ed erano conosciuti in tutto il mondo, ma mirando anche a dire che praticamente in ogni dove nuovi gruppi prog nascevano, suonavano e spesso realizzavano album di squisita fattura e degni della massima attenzione. Certo, è giusto vedere la Gran Bretagna come “patria” del progressive, visto che il genere è nato lì e considerando che proprio dalla Terra di Albione provenivano tutti i maggiori gruppi oggi considerati “classici”. Eppure, sebbene non furono in molti gli artisti che riuscirono ad ottenere fama e successo, il progressive è riuscito a proliferare in tutto il mondo e qualitativamente si riscontrarono non poche scene di grande valore. Giusto per rimanere in Europa, come non considerare la fervida attività progressive che si generò in Scandinavia?
Nel 2001 è uscito l'interessante album Tuonen tytar, un doppio cd, tributo proprio al prog finlandese degli anni '70 e che può essere utile strumento per incuriosire all'approfondimento di tale scena. Tra i numerosi artisti omaggiati in questo lavoro non potevano certo mancare gli Haikara, straordinario gruppo che molti cultori indicano tra i migliori esponenti del progressive non solo finlandese. Al giorno d'oggi, quando si va alla riscoperta di qualche rarità, non sono in pochi a pensare che spesso dischi poco noti hanno un valore artistico inversamente proporzionale a quello monetario del mercato collezionistico. Certamente non è il caso di questa formidabile band. Gli Haikara ruotano attorno alla figura di Vesa Lattunen, polistrumentista, cantante e compositore di straordinario talento che, attorniatosi di una cerchia di validi musicisti, ha dato vita nella prima metà degli anni '70 a tre album, due dei quali raggiungono vette qualitative a dir poco eccellenti.
Le radici degli Haikara possono essere viste nella band denominata Roundbeats, attiva negli anni '60 e nella quale militava il giovane Lattunen, il quale, attraverso sue composizioni e cover dei Beatles, suo grande amore, ne rappresentava il fulcro fondamentale. Scioltisi i Roundbeats, il musicista entra a far parte dapprima dei Wanderers, impegnandosi nel più classico rock 'n' roll, poi nei Lords e, infine, nei Tinkle. Con questi ultimi ottiene un po' di popolarità, soprattutto per merito di alcuni concerti in patria suonati come gruppo di supporto agli Who e agli Herman's Hermits. Dopo l'esperienza con i Tinkle, terminata nel 1969, Lattunen entra a far parte della Lahti Symphony Orchestra e forma gli Haikara nel 1971 nella città di Lahti, mostrando subito la voglia di proporre un prodotto molto personale, partendo da una base rock, ma pronto ad inserire non pochi spunti di stampo classicheggiante. Ottenuto un contratto discografico con la Discophon Records, l'esordio avviene nel 1972 tramite l'omonimo album. Al “timone”, come detto, Vesa Lattunen (organo, piano, chitarre, basso, voce), mentre gli altri componenti del gruppo rispondono ai nomi di Harri Pystynen (flauto e sax), Timo Vuorinen (basso acustico), Markus Heikkero (batteria e percussioni, co-fondatore della band, ma noto anche per essere un pittore surrealista) e Vesa “Wellu” Lehtinen (voce solista, percussioni; proveniente dai Charlies). Sono inoltre presenti alcuni ospiti: Matti Tuhkanen al violoncello, poi Kaj Backlund, Seppo Peltola, Mircea Stan e Markku Johansson, alla sezione fiati, vanno ad arricchire ulteriormente una già ampia strumentazione.
Il
primo brano fa subito intendere quanto personale, originale ed
affascinante sia la proposta musicale degli Haikara, grazie ad un
alchimia sonora assolutamente incredibile: note di chitarra elettrica,
su ritmiche serrate aprono, infatti, Koyhan pojan kerjays, ma
ben presto è il sax ad ergersi a protagonista accompagnando superbamente
le parti vocali cantate in madrelingua, che danno una leggera impronta
di folk nordico. Gli intrecci strumentali si sprecano, il basso pulsante
si ritaglia un discreto spazio e non fa da mero supporto ritmico,
mentre sax e chitarra si danno continuamente il cambio alla guida del
brano, che ha un allegro e divertente finale, simile ad una simpatica
marcetta militare. Si arriva a vertici di inusitata bellezza con la
seguente Luoja kutsu, aperta da romantiche e malinconiche note
di chitarra acustica, violoncello e tastiere su cui si inseriscono poi i
fiati e la sezione ritmica. L'entrata del cantato, sofferto,
contribuisce a mantenere quell'alone elegiaco alla canzone, che procede
su quest'indirizzo per circa due minuti. Poi la sezione ritmica comincia
a dettare tempi più veloci e ci sono magistrali intrecci tra sax e
chitarra ad accompagnare la parte cantata. Il brano prosegue donando
emozioni grazie ad un saliscendi che permette di alternare accelerazioni
e rallentamenti, in cui si distinguono il violoncello pronto a far
accrescere la vena malinconica, uno struggente guitar-solo e
melodie vocali di grande effetto che fanno da preludio ad un finale
caratterizzato da un'accelerazione continua. La facciata A si conclude
con la sublime Yksi maa - Yksi kansa, che, similmente al brano
precedente si caratterizza per le dinamiche che favoriscono l'alternanza
tra delicata vena romantica e momenti strumentali di gruppo più veloci.
Introdotta dal sax, è ancora la chitarra acustica a regalare sognanti
arpeggi in apertura, subito accompagnata dal violoncello e dal flauto.
In quest'atmosfera entrano il cantato e la sezione ritmica, ma l'inizio
disteso è destinato a durare poco: il sax ben presto comincia a gridare
forte, si avvertono distorsioni di chitarra elettrica su cui il
violoncello si inserisce lamentandosi in sottofondo, il ritmo si fa
ossessivo… L'entrata del flauto fa calmare un po' le acque, ma è una
serenità solo momentanea, visto che la velocità aumenta improvvisamente,
prima della ripresa del tema iniziale che porta il brano alla
conclusione. E' il basso ad aprire Jalleen on meidan, con cui
inizia la seconda facciata del disco, ma ben presto è l'insieme
strumentale a venire a galla e a creare un mix incredibile di prog
nordico ed echi canterburiani. Nei momenti cantati le parti vocali sono
molto epiche ed è fondamentale l'apporto della chitarra elettrica;
invece, nei momenti strumentali è il sax che si fa sentire maggiormente.
Dopo i primi 5 minuti inizia una lunga digressione strumentale: il
basso crea sentieri tortuosi sui quali la chitarra elettrica si lancia
in tormentati solos, mentre il sax si fa sentire in un crescendo
d'intensità. Dopo una breve pausa melodica si riparte in quarta e sono
ancora chitarra, sax, basso e batteria a guidare il brano verso la
conclusione in un vortice sonoro con intarsi strumentali di grande
effetto. La chiusura del disco è affidata a Manata, il cui
inizio elegante con arpeggi di chitarra e col flauto apre la strada ad
un melodico cantato che si protrae per circa 3 minuti. Poi questi toni
dolci sono soppiantati dalle note di un sax che porta il brano in
atmosfere più fosche, creando insieme al piano e alla chitarra delle
dissonanze che rimandano ai migliori Van der Graaf Generator. In un simile frangente sembra che a suonare il sax ci sia davvero David Jackson e non esagero affermando che questa lunga parte dissonante non avrebbe affatto sfigurato su Pawn hearts.
Un assolo di chitarra riporta la canzone su schemi più lineari, pur
mantenendo alta la tensione fino al termine degli 11 minuti di questo
straordinario brano. L'esordio degli Haikara è quindi a dir poco
folgorante, un album unico, perfetto, che lascia col fiato sospeso per
tutto l'ascolto. Un disco, insomma, che porta la band finlandese
nell'Olimpo del progressive.
Un anno dopo arriva il secondo lavoro del gruppo, intitolato Geafar.
C'è una prima defezione in seno alla band, visto che il cantante
(autore anche dei testi del primo album) Lehtinen abbandona per tornare
nei Charlies. Lattunen si fa carico delle parti vocali e a dargli una
mano come vocalist interviene sua sorella Auli. Ancora
una volta, altri musicisti contribuiscono agli archi e ai fiati e, come
per il primo LP, anche in quest'occasione la copertina è disegnata dal
batterista Heikkero e il produttore risponde al nome di Heikki Virtanen.
Il nuovo album, pur non raggiungendo la perfezione dell'esordio, si
mantiene su livelli qualitativi elevatissimi e conferma la grandissima
personalità degli Haikara. L'apertura è affidata al rock dinamico di Change, un brano snello e veloce guidato da chitarra e sax, l'unico con testi in inglese, che risultano tra l'altro un po' ingenui (“We gotta change the world/We gotta change the people…”). La seconda canzone Kun menet tarpeeksi kauas tulevisuuteen huomaat levasi menneisyydessa
mantiene una verve frizzante, con un'agile base ritmica su cui chitarra
e sax si scambiano continuamente i ruoli. I cambi di tempo, le
piacevoli le melodie vocali ed i controcanti femminili di Auli Lattunen,
protagonista nella seconda metà del brano con vocalizzi delicati ed
incantevoli, rendono questo uno dei momenti più avvincenti dell'album.
Si continua con le emozioni con Kantaatti, malinconica con le
docili note pianistiche e i vocalizzi di Auli che, insieme al
violoncello, contribuiscono a rendere particolarmente venato di
tristezza questo gioiellino di due minuti e mezzo. E si passa al lato B
con Laulu supullisesta pil vesta, aperta da note di piano e
flauto, cui si aggiungono presto il cantato di Vesa Lattunen ed il
violoncello, prima dei nuovi interventi vocali di Auli che vanno a
magnificare su ritmi lenti un altro momento malinconico di pura
emozione. La lunga title-track, che chiude l'album è aperta da
basso e piano che conferiscono una certa inquietudine. Dopo un minuto e
mezzo la tensione è allentata dall'insieme strumentale e dal cantato di
Auli (nell'unica occasione in cui non si esprime in “vocalese”): ancora
una volta si denota come le note di chitarra e sax si avvolgano le une
nelle altre come solo i migliori King Crimson
sembravano essere in grado di fare. E nel turbinio strumentale che parte
dal quarto minuto si fanno apprezzare un intermezzo classicheggiante
che vede gli archi protagonisti, un assolo di chitarra slanciato e
nervoso che cede il passo ai suoni convulsi del sax, prima del ritorno
al duetto per un crescendo di incredibile fascino. La dinamica del brano
porta poi ad uno stacco improvviso in cui il solo piano continua a
tenere alta l'apprensione, che si acuisce con flebili note di sax e
chitarra che lentamente, ma inesorabilmente, riportano al tema
principale all'undicesimo minuto, quando riprende anche il cantato di
Auli, per raggiungere la conclusione. Un altro album quindi di grande
livello, che conferma la classe degli Haikara, dimostrando anche quanto
sia inclassificabile la loro musica.
Dopo
due album di pura magia, ma di non soddisfacente successo commerciale,
ed un tour di discreto successo nella Germania Est, la Discophon Records
spinge il gruppo a semplificare le composizioni per renderle
accessibili ad un più vasto pubblico. Ma i musicisti non ci stanno e
cambiano etichetta, accasandosi presso la Satsanga.
Viste le intenzioni di un mantenimento totale della propria integrità
artistica, sorprende non poco il mezzo passo falso compiuto col terzo
LP, intitolato Iso lintu e pubblicato nel 1975. Partecipano
nuovamente vari ospiti, come sempre ai fiati e agli archi, ma è da
segnalare come nuovo innesto la presenza del cantante Matti Heinanen, anch'egli ex Charlies. A Hotellinanen, che apre il lavoro con un modestissimo hard-rock lunatico, seguono due brani interessanti: Kuinka Ollakaan,
in cui ci sono alcune buone intuizioni grazie ad un prog allegro e
vagamente jazzato fatto di cambi di tempo, interessanti orchestrazioni e
bei momenti strumentali dove la chitarra duetta coi fiati come nelle
migliori composizioni del gruppo, e Romanssi, sarjasta Kuutamo,
più malinconica con il flauto, il violoncello, gli archi e belle
melodie vocali a creare scenari abbastanza piacevoli. A questo punto ci
si aspetterebbe il decollo dell'album; purtroppo il seguito mostra come
finora si sia assistito ad un fuoco di paglia: 2+2=5 è un pop molto scialbo e monotono, e le cose non migliorano di certo con il lato B dell'album, aperto da Leppakertu, una canzoncina allegra di spessore pressoché nullo, cui segue Volgata, altro brano rock tutt'altro che ispirato. La strumentale Fur Hanna
recupera un po' la tradizione folk con un sapiente uso di fiati e
percussioni e insieme al brano successivo tenta di risollevare le sorti
dell'album, infatti Aamu dopo l'inizio acustico e dal cantato
mesto si incanala, attraverso una bella parte strumentale, in ritmi
crescenti, improvvise frenate con vocalizzi femminili e finale epico.
Gli archi che si affacciano in Jaahyvaiset sono solo
un'illusione di un buon finale, infatti, il brano si caratterizza per un
pop-rock melodico e mieloso poco significativo. Un album breve e fatto
di brevi canzoni, qualche tocco di classe si avverte sempre, in eredità
dei primi due lavori, ma nel complesso l'ispirazione sembra aver
abbandonato gli Haikara e Iso lintu lascia un po' a desiderare.
Cominciano
i primi dissapori all'interno del gruppo (differenti identità di vedute
sulla direzione musicale da prendere) e probabilmente anche a causa
della stanchezza compositiva mostrata con l'ultimo album gli Haikara
decidono di sciogliersi, lasciando ai posteri tre album, due dei quali
sono, come dicevamo, delle vere perle del progressive, non solo
finlandese. Vuorinen e Heikkero vanno a formare un nuovo gruppo
denominato Sleepy Sleepers, mentre Lattunen prova a mantenere in vita gli Haikara reclutando il fagottista Eljas Holm, il bassista Jorma Nikulainen e il batterista Hannu Rontu. Vengono pubblicati con questa line-up due singoli di scarso interesse per la Hi-Hat Records,
dopo di che avviene lo split definitivo. Lattunen prosegue la sua
carriera con la Lahti Symphony Orchestra (ensemble con cui aveva sempre
collaborato e che da sempre aveva “prestato” i suoi musicisti agli
Haikara), impegnandosi anche come insegnante di musica. Compone una
suite sinfonica, intitolata Kuutamo, composta da cinque parti, una delle quali (Romanssi) era inclusa su Iso lintu.
Purtroppo non ottiene l'appoggio dell'orchestra per quest'opera e solo
alcuni dei componenti lo aiuteranno in tre esecuzioni dal vivo
nell'inverno del 1976. Nonostante Kuutamo sia stata registrata dalla Finish Broadcasting Company di Helsinki ad oggi non è stata mai pubblicata.
Il
solido e indissolubile amore per la musica porta Lattunen, negli anni
seguenti, a numerose collaborazioni con vari artisti, a concerti
solisti, alla scrittura di canzoni per poemi vari, al ruolo di direttore
di una band di fiati e all'organizzazione di varie manifestazioni
artistiche (famosa una serata dedicata a Bob Dylan, che frutta anche la realizzazione di un EP nel 1979). Trascorre
il tempo e si giunge al 1995, anno che vede il ritorno degli Haikara
con un completo rivoluzionamento della formazione: Vesa è l'unico
rimasto del nucleo originale e la nuova line-up comprende giovani
musicisti conosciuti durante la sua esperienza con la Lahti Symphony
Orchestra. E' ancora Lahti la città che li vede rinascere con un
concerto tenuto nel 1996 e seguito, a breve distanza, da un'altra
performance a Helsinki. I tempi sono ormai maturi per un nuovo album e
viene così realizzato IV Domino, che mostra una band con
ritrovata e rinnovata vitalità, che, forte dell'esperienza del leader
riesce a proporre nuovamente musica di gran classe. L'album esce nel
1998 e gli Haikara fanno vedere chiaramente di aver ritrovato
l'ispirazione grazie a 6 brani che si rivelano di grande valore. Non
vengono raggiunti i livelli altissimi dei primi due album, ma le perle
non mancano, a partire dagli oltre otto minuti di Polku, in cui
su ritmiche decise la chitarra acustica e la voce di Lattunen portano
in territori folk cari alla band e a rendere più elegante la
composizione, con qualche tocco jazzato ci sono un paio di apprezzabili
interventi del sax. Eccellente il momento in cui si dà maggiore velocità
alla canzone, grazie alla chitarra acustica che subentra quella
elettrica, prima del finale in cui è ripreso il tema principale. Portti è
un altro bel brano, principalmente acustico, elegantemente articolato
tra situazioni folk ed altre più vicine al jazz-rock, grazie a continui
cambi di tempo che permettono un crescendo in cui chitarra e sax possono
interagire alla grande. Dire che Ykseis è spettacolare è
addirittura riduttivo: dopo due minuti veloci su cui la 6 corde
elettrica del leader e il sax continuano ad incantare con gli abituali
magici intrecci, le ritmiche rallentano un po' permettendo l'entrata del
cantato in questo momento melodico di rara bellezza. Si passa poi ad un
lungo momento strumentale che vive tra situazioni che presentano un
certo romanticismo, assolo di grande intensità e raffinati passaggi
acustici; il tutto si alterna continuamente con il tema principale del
brano, sempre guidato da sax e chitarra. In conclusione ritornano le
delicate melodie vocali che fanno da preludio agli ultimi bagliori degli
strumenti guida. Se tutto l'album fosse stato su questi livelli si
dovrebbe parlare di capolavoro assoluto, ma è difficile mantenere sì
elevati standard e i successivi tre brani, pur apprezzabili, non reggono
il confronto. Lady è una ballata acustica di poco più di 3
minuti, eseguita da chitarra, basso e flauto e resta l'unico episodio
completamente strumentale dell'album. Più curiosa Gloria Deo, a
causa dell'apertura con cori gregoriani (nati in un sogno di Vesa) che
si protraggono per un minuto e mezzo per poi prorompere un aggressivo
prog-rock che si manterrà strumentale fino alla fine. I toni
insolitamente hard della chitarra sono leggermente ammorbiditi
dall'utilizzo sempre intelligente del sax e da un passaggio flautistico
che stempera un po' il clima. Altra breve e delicata ballata acustica è Kultamalja, che porta a termine un album molto bello. IV Domino
segna quindi il ritorno sulle scene progressive di un gran gruppo, che
dimostra chiaramente di avere ancora ottime idee da proporre con la
magia della sua musica.
In un periodo in cui i cosiddetti dischi
tributo si sprecano, un'interessante iniziativa, come già accennato
all'inizio, risulta Tuonen tytar, doppio cd datato 2001 ed edito dalla Mellow Records
in omaggio al progressive finlandese degli anni '70. L'apertura di
questo album è affidata proprio agli Haikara che propongono una nuova
veste di Yksi maa - Yksi kansa. Una versione bellissima di un
brano già in origine eccellente, il cui sviluppo è per l'occasione messo
maggiormente in risalto dalla registrazione pulita. Sax e chitarra sono
come sempre i protagonisti, ma gli azzeccati interventi del violoncello
e le eleganti parti vocali, cui si alternano Lattunen e la giovane Saara Hedlund
(figlia di Vesa) rendono questo “remake” particolarmente pregevole. Da
segnalare, inoltre, che sul tributo è presente un altro brano degli
Haikara, quello dal lunghissimo titolo Kun menet tarpeeksi kauas tulevisuuteen huomaat levasi menneisyydessa, tratto da Geafar ed eseguito dai Circle: una discreta versione con la chitarra che agisce attraverso timbriche vicine allo space-rock. Tuonen tytar
è solo l'inizio della collaborazione tra gli Haikara e l'etichetta
italiana, che pubblica infatti il successivo lavoro della band. Tuhkamaa, questo il titolo del nuovo album, esce nell'autunno del 2001 e se IV Domino
aveva restituito al prog un gruppo in forma, col nuovo lavoro vengono
raggiunte vette inimmaginabili. Lattunen è affiancato da Saara Hedlund
alle parti vocali, Hannu Kivila al violoncello, Jan Schaper al sax e alla voce, Tommi Makinen al basso e Jukka Teerisaari alla batteria. Tuhkamaa risulta
infatti di una bellezza incredibile, grazie a 38 minuti di pura
delizia. La breve introduzione è solo un prologo alle successive sette
tracce, che si muovono, come di consueto, tra variazioni ritmiche di
grande efficacia, melodie vocali sempre raffinate, momenti strumentali
di grande fascino ed impreziositi nell'occasione da un uso più
frequente, rispetto al passato, del violoncello. I brani sono più brevi
rispetto agli standard dei precedenti album, a partire dai tre minuti
strumentali della vivace Kosovo, caratterizzata da ritmiche rapide e dai continui intrecci strumentali tra sax, chitarra e violoncello. Valtakunta prosegue su binari abbastanza veloci e vede Lattunen impegnato in intense parti vocali ed in un guitar-solo
che unisce energia e feeling. In quest'inizio, tuttavia, la chitarra
del leader sembra concentrarsi più sull'accompagnamento e lascia ampi
spazi agli altri strumenti. Sarà una costante dell'album e Kivila e
Schaper non faranno rimpiangere la fiducia mostratagli. Harlekiini è
una canzone strumentale introdotta da un motivetto tastieristico e i
labirinti in cui si va a districare il gruppo finiscono col mescolare
sapientemente musica classica, folk e rock. Un momento di grande
intensità e malinconia è Klovni: il cantato sofferto, le
ritmiche tormentate, la dolcezza della chitarra acustica e l'atmosfera
venata di tristezza creata dal violoncello rendono questo uno dei
momenti migliori dell'album. A questo brano meraviglioso ne segue un
altro che va addirittura a porsi come una delle pagine più belle mai
scritte da Lattunen: la title-track è infatti un gioiello di
rara bellezza, aperta da dolci note di chitarra acustica e violoncello
che introducono la sentita parte cantata. Segue un lungo momento
strumentale, con un crescendo incredibile che coinvolge tutti gli
strumenti ed una frenata improvvisa che riporta all'orecchio
dell'ascoltatore le delicate melodie vocali cantate a due voci
(maschile-femminile). Un'introduzione tastieristica apre la strumentale Hymni,
che ha un andamento regale ed energico che si alterna a situazioni che
sfiorano il jazz-rock, prima di un curioso finale abbellito dalla
presenza del sitar suonato dall'ospite Pekka Virtanen. A concludere questo bellissimo lavoro c'è Oodi ballata malinconica e sognante, dagli spunti folk, guidata dalla voce armoniosa della Hedlund. Con Tuhkamaa gli
Haikara fanno centro, riportandosi su livelli non molto distanti dai
loro primi lavori e che permettono di sperare in un futuro ancora
eccellente per questo gruppo che sta attraversando una seconda
giovinezza.
Dopo
questo cd gli Haikara (con formazione
Lattunen-Hedlund-Kivila-Makinen-Teerisaari) si impegnano nella
registrazione di un brano che fa parte di un concept-album intitolato Kalevala, dedicato a miti e leggende della Finlandia e che vede la luce alla nell'autunno del 2003 tramite la label Musea. Il gruppo di Lattunen ha l'onore di aprire questo lavoro con la composizione intitolata The creation/The sowing,
tramite la quale, seguendo la tradizione folcloristica della propria
terra natia, si descrive la nascita del mondo e quella di Väinämöinen
(per approfondimenti, potete leggere l'ampio articolo dedicato
all'album, che trovate sulle nostre pagine sia nella sezione Recensione dischi, che in quella Concept e altre storie). Si tratta di uno splendido brano, che rappresenta la punta di diamante dell'intero Kalevala (che
è un triplo cd): undici minuti e mezzo magistrali, in cui si ravvisa
l'inconfondibile stile della band con un'unione originale e
inappuntabile di elementi di progressive, musica classica e folk-rock
nordico. Nella prima parte della canzone si alternano frangenti
rilassati e meditativi dalle delicate melodie ed altri più aggressivi
con la chitarra in primo piano, ma con il violoncello sempre pronto a
rifinire elegantemente. Nella seconda parte, invece, c'è una semplice e
malinconica melodia di base, tema principale costruito su poche,
emozionanti, note di piano, a partire dal quale si sviluppano
arrangiamenti eccezionali, che vivono magnifici momenti con l'intensa
parte cantata soavemente da Saara Hedlund e con un crescendo strumentale
travolgente e di grande incisività.
Il Kalevala rappresenta solo il primo di una serie di progetti “sponsorizzati” dalla fanzine finlandese Colossus (che, tra l'altro, aveva già contribuito alla realizzazione di Tuonen Tytar). Il secondo si concreta nel doppio cd intitolato The Spaghetti Epic,
pubblicato nuovamente dalla Musea nel 2004, che è una sorta di tributo a
quel genere cinematografico tutto italiano e conosciuto come spaghetti-western. E ad essere omaggiato non poteva che essere uno dei film più famosi del più importante regista cimentatosi in simili opere: C'era una volta il West di Sergio Leone. Sei gruppi partecipanti e sei suite; nuovamente gli Haikara ad aprire (stessa line-up del Kalevala, più i seguenti ospiti: Hannu Rontu alle percussioni, Tommi Sallinen alla fisarmonica, Jake Makinen alla chitarra flamenco, Hannu Parviainen al violino, Kuja Salmi agli effetti e Tuomo Helin al contrabbasso). I venti minuti della loro composizione, intitolata The West,
hanno dell'incredibile; non solo sono il fiore all'occhiello di questo
nuovo lavoro, ma rappresentano senza dubbio uno dei vertici assoluti
dell'intera carriera della band. Gli Haikara sfoderano una prova
assolutamente maiuscola, perfetta, per merito di un brano straordinario
che regala emozioni a go-go. Dopo il delicato prologo acustico, con
intriganti melodie vocali cantate da Saara Hedlund, si entra nel vivo
della suite con sonorità di stampo classicheggiante guidate da piano e
chitarra su ritmi solenni. Segue un breve, ma attraente intervento di
una chitarra flamenco, a cui subentra una favolosa melodia di piano che
rappresenta il tema principale della suite, ripresa in “vocalese” dalla
cantante prima di un intermezzo percussivo che precede uno di quei
magnifici crescendo in pienissimo stile Haikara, nel quale la chitarra
si mette in primo piano e dialoga sapientemente con le tastiere. Tra i
cambi di tempo si segnalano anche gli avvincenti interventi di
violoncello e violino che rendono ancora più affascinanti le atmosfere
create, esibendo un che di imponente e malinconico allo stesso tempo.
Nei quasi tre minuti finali viene ripresa la frase melodica iniziale,
cantata magnificamente da Saara, nuovamente accompagnata dalla
fisarmonica e dalla chitarra acustica.
Gli ultimi due album del gruppo e le partecipazioni al Kalevala e allo Spaghetti Epic
hanno ampiamente dimostrato come la fiammella dell'ispirazione per gli
Haikara non si sia affatto spenta, anzi… Ma proprio mentre la band sta
preparando la suite che doveva essere presente sul secondo disco tributo
al western all'italiana, pensando anche ad un futuro nuovo album,
arriva come un fulmine a ciel sereno, nel marzo del 2005, la scomparsa
di Vesa Lattunen, che, in pratica, segna tristemente la parola fine ad
una magica avventura durata oltre trenta anni.
Discografia:
Haikara: Haikara (1972) LP/CD (RCA Victor LSP 10392/Fazer Records, 1998 CD)
Haikara: Geafar (1974) LP/CD (RCA Victor YFPL 1-809/Ektro Records, 2000 CD)
Haikara: Iso Lintu (1976) LP (SATLP 1016) (Private press)
Haikara: IV Domino (1998) CD (meta-021) (Metamorphos Records)
Haikara: Tuhkamaa (2001) CD (MMP-414) (Mellow Records)
Singoli:
Poika pilvellä/Jumbo (Hi-Hat HIS 1011) 1976
American Look (HATROCK 2 Hi-Hat HILP 122) 1976
Partecipazioni:
AA.VV.: Tuonen tytar (2000) 2CD (MMP-385 A-B) (Mellow Records)
Contiene una nuova versione del brano Yksi maa Yksi kansa
AA.VV.: Kalevala (2003) 3CD (FGBG4463.AR) (Musea)
Contiene il brano The creation/The sowing
AA.VV.: The Spaghetti Epic (2004) (FGBG4536.AR) 2CD (Musea)
Contiene il brano The West
Peppe
Marzo 2005
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