Kansas

Le origini di questo gruppo sono da ricercarsi tra la fine degli anni '60 e l'inizio dei '70, quando due compagni di classe, Phil Ehart (batteria) e Kerry Livgren (chitarra), decisero di fondere i gruppi da loro capitanati (rispettivamente i White Clover e i Saratoga). Il risultato fu un gruppo di otto persone - Phil Ehart, Lynn Meredith, Dave Hope, Kerry Livgren, Dan Wright, Larry Baker, Greg Allen and Don Montre - con basso, batteria, due chitarre, due tastiere e due voci soliste (una delle quali abbandonò dopo breve tempo); il suo nome, Kansas, fu scelto dal bassista Dave Hope. La band, rimasta in sette, acquisì un pizzico di notorietà quando si esibì a New Orleans come spalla dei Doors il 12 dicembre 1970; Jim Morrison invitò i Kansas anche a unirsi al suo gruppo sul palco per una jam session blues, che fu la parte conclusiva dello show nonchè l'ultimo pezzo eseguito in assoluto dai Doors dal vivo.

Ciononostante, la band si divise alla fine del 1971: Livgren cercò sette nuove persone con cui riformare i Kansas, mentre Ehart e Hope riformarono i White Clover. Questa nuova incarnazione però ebbe vita molto breve, e Ehart emigrò in Inghilterra in cerca di fortuna; dopo tre mesi però ritornò negli States e tentò nuovamente di riformare i White Clover, riuscendo ad unire i 5/6 di quella che sarà la line-up "classica" dei Kansas. Infatti il batterista reclutò in breve tempo Steve Walsh, cantante dalla voce splendida ma anche abile tastierista, il violinista/cantante Robby Steinhardt (figlio di un professore di Storia della musica dell'università del Kansas) e il vecchio compagno Dave Hope, che portò con se anche il suo amico chitarrista Richard Williams (che comunque aveva già suonato con Ehart in precedenza).

Nel frattempo, i Kansas di Livgren stentavano a decollare; parallelamente, nei White Clover cresceva l'esigenza di una mente creativa da affiancare a Walsh. Ehart si ricordò di Livgren, e chiese a questi di abbandonare il suo progetto e di unirsi ai White Clover: la formazione era così completata con un polistrumentista (chitarrista e tastiere) nonchè efficace songwriter. Assestata la line-up, si intensificarono le date live e conseguentemente cominciò a spargersi sempre più la voce di uno strano gruppo di Topeka che suona un hard-rock con ampio spazio per le melodie, con mirabili parti strumentali e con il rivoluzionario utilizzo del violino. Leggenda vuole che i White Clover abbiano ottenuto il loro contratto discografico con la Kirshner, una succursale della CBS diretta da Don Kirshner (scopritore ad esempio di Neil Sedaka e Carole King), dopo aver invitato quest'ultimo ad assistere ad un loro concerto in un locale con ingresso libero e birra gratis per tutti. In occasione del contratto, la band assunse definitivamente il nome Kansas...

Discografia

Kansas (1974)

Nel 1974 i Kansas pubblicano il loro omonimo album di debutto, un affascinante lavoro che raccoglie brani composti negli ultimi tre anni e che individua l'alto potenziale tecnico e compositivo dei musicisti, capaci di fondere la nativa verve rock tipicamente americana con le influenze derivanti dal progressive inglese di band come Genesis, Yes e King Crimson; le vendite dell'album non furono eclatanti ma nemmeno disastrose: 10000 copie con conseguente ingresso al 174° posto della classifica di Billboard.
Si tratta un album estremamente curato e privo di quelle ingenuità che caratterizzano molti dischi di debutto, che mostra all'ascoltatore tutti gli aspetti del suono Kansas, presente e futuro: piacevoli ma mai scontate linee melodiche (eseguite in primo luogo dal magnifico Walsh, ma anche da Steinhardt e Livgren), cori a volontà, un'efficace spinta propulsiva proveniente dalla sezione ritmica di Hope e Ehart (quest'ultimo in particolare sempre fantasioso, potente e preciso), e eccellenti parti strumentali (meravigliose soprattutto le scorribande al violino di Steinhardt, ma sorprende anche l'abilità di Walsh all'hammond). Il disco si compone di otto brani, ma la bilancia pende dal lato dei pezzi brevi, che mostrano l'anima pop della band: degni di nota i due singoli Can I Tell You, potente e ritmata, e la dolce ballata Lonely Wind, ma non sono da meno Bringing It Back, The Pilgrimage e soprattutto la magnifica Belexes con la sua melodia orientaleggiante. L'influenza progressive, com'era ovvio, si rispecchia nei tre (ottimi) pezzi lunghi del disco: Journey From Mariabronn (che diventerà un classico nelle esibizioni dal vivo), Apercu (sicuramente la più sinfonica del lotto) e Death Of Mother Nature Suite (esemplificativa dello stile dei testi di Livgren, che trattano spessissimo di tematiche religioso/spirituali - With greed and lust we tried to rise above her / The ignorance of man will reach an end / 'Cause now we're gonna die). Per il sottoscritto, uno dei migliori debutti in assoluto nel mondo del prog.

Song For America (1975)

Fortunatamente negli anni '70 non era sufficiente un solo disco per decretare il successo o la fine di un gruppo, e così i Kansas ci riprovano l'anno successivo con Song For America, disco che sancisce l'inizio della collaborazione col produttore Jeff Glixman e che va decisamente meglio del predecessore in termini di vendite: 250000 copie e 57° posto in classifica.
Il disco si pone sulle stesse coordinate del debutto, e non si notano particolari sconvolgimenti nel sound del gruppo: le eredi di Death Of Mother Nature Suite e di Apercu si chiamano Incomudro (pervasa per lo più da un clima intimista ma che presenta due esplosioni strumentali nella parte centrale e finale - gustoso l'assolo di Ehart, uno dei pochi drum-solo che non spinge automaticamente la mano sul tasto skip del lettore CD) e Lamplight Symphony (maestosa e sinfonica, ideale colonna sonora per un film); i pezzi brevi sono l'opener Down The Road (come al solito potente, melodica e con ottime parti strumentali), la blueseggiante Lonely Street (dall'arrangiamento insolitamente scarno per i Kansas) e The Devil Game (forse l'unico brano un pò sottotono del disco). Menzione a parte per la title-track, un brano che definire capolavoro è riduttivo: 10 minuti di pura magia tradotta in musica. Ascolto vivamente consigliato, soprattutto per le tre mini-suite (curiosamente tutte e tre a firma di Livgren)

Masque (1975)

Alla fine del 1975 i Kansas si guadagnano le stime della critica con l'uscita del terzo album Masque, che si mantiene sulla scia dei predecessori fondendo brani più elaborati dalle atmosfere progressive, e pezzi di immediata fruibilità - è ravvisabile comunque una 'grandeur' dal punto di vista vocale e strumentale forse molto più accentuata rispetto al passato.
Cominciando dai pezzi brevi, i migliori sono senza dubbio Two Cents Worth, caratterizzato da un ritmo terzinato squisitamente seventies, e Child Of Innocence, dal ritornello potentissimo ed epico (una delle due gemme incastonate da Livgren in quest'album), mentre un pò troppo ordinarie per gli standard Kansasiani sono It's You, It Takes A Woman's Love e Mysteries And Mayhem, che restano comunque dei brani hard-rock gradevoli e molto diretti. Per quanto riguarda i pezzi lunghi, Livgren e Walsh fanno faville in Icarus (uno dei pezzi "definitivi" per i Kansas), mentre All The World, il frutto dell'inedita coppia compositiva Walsh/Steinhardt, risulta essere forse un pò troppo frammentario; la seconda gemma dell'album è rappresentata dai nove minuti di The Pinnacle, una trionfale marcia frutto della penna miracolata di Livgren e posta in chiusura dell'album .

Leftoverture (1976)

Nonostante un ennesimo album di ottimo livello, il grande successo per i Kansas tarda ancora ad arrivare (le vendite si attestano più o meno sui livelli del predecessore) e il loro manager continua a far pressione per pezzi più brevi e magari un hit-single, scontrandosi con una band invece propensa a continuare per la sua strada. Il grande successo di pubblico (senza però scendere a compromessi o snaturare il proprio sound) venne finalmente raggiunto col successivo album Leftoverture, il quale fece sfracelli nelle classifiche americane, raggiungendo la quinta posizione e vendendo quasi tre milioni di copie.
Leftoverture è ritenuto a parere quasi unanime il capolavoro assoluto dei Kansas, e non è difficile convincersene: la fertilissima vena creativa di Livgren (autore di quasi tutto il disco) riesce a fondere in maniera perfetta gli influssi barocchi anglosassoni con la tradizione melodic-rock americana, sfornando 8 brani di elevatissima qualità. La partenza con Carry On Wayward Son è fulminante: un singolo infallibile che colpisce fin dal primo ascolto e dove niente (dal riff, alle linee vocali passando per gli assoli) è fuori posto. Senza dubbio uno dei classici "evergreen" del rock, che è anche molto "coverizzato" (pensiamo ad esempio ai Dream Theater o a Yngwie Malmsteen). Altri due classici sono Miracles Out Of Nowhere e Cheyenne Anthem, due brani di media lunghezza caratterizzati da melodie come al solito strepitose e da intermezzi strumentali a metà canzone assolutamente geniali ed originali. Il lato intimista della musica di Kansas lo ritroviamo, oltre in alcune parti della già citata Cheyenne Anthem, in Opus Insert e soprattutto nella sentita The Wall, contornata di splendidi assoli di chitarra e impreziosita dalla sempre magica voce di Walsh, mentre i Kansas più immediati e senza complessità strumentali li troviamo nelle brevi ed efficaci What's On My Mind (la più hard del disco) e Questions Of Childhood (dove Steinhardt ha occasione di uscire allo scoperto). Degnissima conclusione del disco è la magnifica mini-suite Magnum Opus.

Point Of Know Return (1977)

Si può dire che Leftoverture accende la Kansas-mania: la band intraprende un lungo tour di grande successo, successo che sembrò abbastanza sorprendente considerando ad esempio che i membri del gruppo non hanno assolutamente velleità da rockstar e che i testi del gruppo trattano spesso di temi religiosi, al contrario del consolidato trittico sesso-droga-rock'n'roll che era il leit-motiv di gran parte delle band di successo di quel periodo (pensiamo ad esempio ai Kiss).
Nel 1977 è la volta di Point Of Know Return, e il vascello Kansas (sempre sotto la guida alla consolle di Jeff Glixman) naviga ancora tranquillo, malgrado qualche piccolo incidente di percorso, come il temporaneo (e fortunatamente brevissimo) abbandono della band da parte di Walsh durante le registrazioni. Bissare un capolavoro della portata di Leftoverture era un'impresa ai limiti dell'impossibile, e consci di ciò (e anche probabilmente per evitare scomodi paragoni) i Kansas provvedono ad un leggero cambio di coordinate nel loro sound: ora è più marcata la ricerca di pezzi più diretti (se vogliamo anche più commerciali) e le spinte progressive risultano leggermente affievolite (anche se ancora siamo lontani dal puro AOR-pomp che i nostri ci proporranno in seguito). Point Of Know Return è comunque un ottimo lavoro: highlights del disco sono i due pezzi posti in apertura, cioè la breve e frizzante title-track (curiosamente uno dei pochi pezzi dei Kansas in cui Livgren non mette il suo zampino) seguita da Paradox (un must, come il pezzo precedente, per le esecuzioni dal vivo), e le due ballad Nobody's Home e, soprattutto, la celeberrima Dust In The Wind. In questa tristissima ballad i Kansas si spogliano dei loro complicati arrangiamenti, lasciando la mai troppo lodata voce di Walsh (probabilmente nella sua interpretazione più sentita) in compagnia della chitarra acustica di Livgren per un pezzo capace di emozionare ad ogni nuovo riascolto. Leggermente inferiori i restanti dei pezzi, che comunque si attestano ad alti livelli tecnico-compositivi (ricordo con piacere la piacevole melodia di Portait, l'ottimo intermezzo strumentale di Closet Chronicles e gli stupendi assoli di tastiera in Hopelessy Human, la consueta mini-suite di Livgren posta in chiusura del disco).

Two For The Show (1979)

La popolarità dei Kansas è in netta ascesa: Dust In The Wind entra nella Top Ten dei singoli americani, l'UNICEF conferisce loro il titolo di Deputy Ambassadors of Goodwill in una cerimonia presso il Madison Square Garden di New York e i concerti del loro tour mondiale (che tocca anche l'Europa in alcune date) sono sold-out quasi ovunque. Il momento magico è immortalato nel doppio live (edito su singolo CD con l'esclusione di Closet Chronicles) Two For The Show, un'ottima testimonianza dell'energia esecutiva e della maestria tecnica della band, in cui ritroviamo tutti i brani più importanti del suo repertorio. 
 
 

Monolith (1979)

Il 1979 vede anche l'uscita di Monolith, disco che vede per la prima volta la band fare tutto da sola in fase di produzione (rinunciando quindi al prezioso ausilio di Glixman). Come testimonia in maniera inequivocabile la copertina, il disco è dedicato al popolo pellerossa ed è pervaso molto più dei precedenti di atmosfere "bucoliche" tipicamente americane, che privilegiano un maggiore uso di strumenti acustici; questo aspetto è maggiormente rintracciabile nei due pezzi iniziali e in quello di chiusura. L'apertura del disco è curiosamente riservata ad una ballad, On The Other Side, che è sicuramente uno dei vertici creativi del disco, anche se il consueto stacco strumentale centrale su tempi dispari (bellissimo, per carità!) a mio avviso rovina un pò l'atmosfera del brano. Sempre con buonissimi risultati, e più o meno sulle stesse coordinate strumentali (anche se con ritmo molto più sostenuto) si muove il pezzo successivo, People Of The South Wind, che venne pubblicato anche come singolo. Le scariche di energia arrivano con i due pezzi successivi: l'elaborata Angels Have Fallen e la rabbiosa How My Soul Cries Out For You, che offre a quasi tutti i componenti della band di mettersi in mostra (Ehart compreso, ma è comunque il violino di Steinhardt a spadroneggiare). Segue un'altro capolavoro del disco, A Glimpse Of Home, la cui magica melodia si snoda tra una continua alternanza di parti acustiche e improvvise esplosioni elettriche, ed è introdotta e chiusa da una fantastica sezione strumentale di stampo barocco (assolutamente inusuale per i Kansas). Più immediate ma comunque riuscite (e di stampo Kansas al 100%) sono le successive Away From You e Stay Out Of Trouble, che aprono la strada alla rilassata ballad finale Reason To Be.

Audio Visions (1980)

Dopo l'ennesimo tour mondiale (che stavolta tocca anche il Giappone), le due menti pensanti della band decidono di far uscire due dischi solisti, entrambi con discrete vendite: Schemer Dreamer di Walsh appare buono ma non eccezionale, mentre decisamente migliore è Seeds Of Change di Livgren, forte anche della collaborazione di una superstar del calibro di Ronnie James Dio per le parti cantate.
I Kansas ritornano a fine 1980 con Audio Visions, caratterizzato da una quasi onnipresente energia nei brani (gli unici momenti un pò più rilassati li troviamo nel meraviglioso singolo Hold On e nella conclusiva ballad Backdoor) e purtroppo da una produzione fiacca che penalizza soprattutto la roboante batteria di Ehart. Moltissimi fanno coincidere l'inizio della "famigerata" fase AOR dei Kansas con questo disco, ma secondo me le coordinate restano più o meno le stesse di Point Of Know Return e di Monolith: la band propone pezzi hard rock potenti ed orecchiabili, con risultati ottimi (l'opener Relentless, per molti una sorta di Carry On Wayward Son parte seconda, e la breve e scatenata Loner) e "solamente" buoni (Anything For You, Got To Rock On e No Room For A Stranger), ma nel contempo non rinuncia a momenti più epici e ricercati strumentalmente. E, c'era da aspettarselo, è proprio qui che la band dà il meglio di se: Curtain Of Iron, dall'altisonante refrain, Don't Open Your Eyes, condotta dal violino, e No One Together, che magari non sarà il massimo dal punto di vista melodico ma che presenta degli stacchi strumentali da antologia in cui la fa da padrone il piano di Walsh. Audio Visions è l'ultimo album che presenta i Kansas con la formazione originaria al completo: di lì a poco Walsh abbandonerà, sembra perchè insoddisfatto nel nuovo corso della band, formando gli Streets e producendo con essi due rocciosi album (First e 4 Crimes In Mind), con i quali però non riuscì a conquistare i fan dei Kansas.

Vinyl Confessions (1981)

I Kansas allora assoldano in sostituzione di Walsh il cantante/tastierista John Elefante, personaggio molto attivo nel giro del christian rock, che si appoggia in sede compositiva al fratello Dino; con il nuovo cantante, i testi a sfondo spirituale di Livgren acquisiscono molta più enfasi. Il frutto di questa nuova line-up è Vinyl Confessions e, diciamolo francamente, è sicuramente tra le cose meno riuscite del gruppo: sparisce quasi del tutto la spinta prog, e il gruppo si ritrova intrappolato per lo più in pezzi pop piacevoli ma nulla più (e talvolta in esperimenti funky-soul con tanto di fiati che lasciano il tempo che trovano). Ma non è tutto da buttare: l'opener (nonchè singolo) Play The Game Tonight è un pezzo dall'indubbio appeal radiofonico, mentre molto riuscite sono l'energica Face It, la dolce ballata Chasing Shadows e Borderline (che presenta un azzeccatissimo refrain e che ricorda alcune cose di Monolith). L'unica circostanza in cui riaffiorano i Kansas vecchio stile è nella conclusiva Crossfire (che sembra quasi uno scarto di Audio Visions), ma anche in tale pezzo purtroppo è facile riscontrare una vena compositiva un pò appannata. Vinyl Confessions per il momento è l'ultimo album che vede la presenza in line-up di Robby Steinhardt.

Drastic Measures (1982)

Il successore di Vinyl Confessions è probabilmente il disco dei Kansas più detestato dai fan, anche se personalmente non condivido tale avversione. Drastic Measures si muove sulla scia del precedente, ma lo batte di misura grazie alla scintillante produzione di Neil Kernon (futuro artefice, tra l'altro, di una delle pietre miliari del prog-metal, vale a dire Rage For Order dei Queensryche) e ad una vena compositiva (almeno parzialmente) ritrovata; da notare anche un'ottima prova alla voce di Elefante, che riesce appieno nel durissimo compito di non far rimpiangere Walsh. Certo, pezzi come Andi e Get Rich non sono esattamente il massimo, ma sono le uniche pecche di un disco riuscitissimo. Si apre nel segno della potenza con Fight Fire WIth Fire, pezzo tanto "squadrato" nelle ritmica e nell'arrangiamento quanto efficacissimo nel suo epico ritornello; il piacevole pop/rock di Everybody's My Friend anticipa un'altro vertice del disco, cioè Mainstream, un altro cocktail di potenza e melodia. Su alti livelli qualitativi si mantengono anche Going Through The Motions e Don't Take Your Love Away, ma il top lo si raggiunge nei due pezzi conclusivi (indovinate a firma di chi?): la rabbiosa End Of The Age è sicuramente il capolavoro del disco, perfetta nell'arrangiamento e con un magnifico ritornello che si imprime nella mente al primo ascolto, e giusto un pelino sotto si colloca la conclusiva Incident On A Bridge, magistralmente condotta da piano e chitarra su un ritmo trascinante e dal testo autobiografico in cui Livgren sembra esporre i motivi che lo porteranno a lasciare i Kansas.

The Best Of + Power (1984) (1986)

Le vendite certamente non esaltanti di Drastic Measures e la progressiva perdita d'identità del gruppo (nonchè, se vogliamo, anche una ritrovata coscienza religiosa) portano Livgren e Hope a lasciare la band per formare il gruppo di rock cristiano AD, e ciò causa lo scioglimento della band, con Elefante che resta comunque attivissimo nel giro cristiano come autore e produttore per diversi gruppi rock/metal. Il nome Kansas torna comunque a farsi vivo un anno dopo con l'antologia The Best Of Kansas (contenente anche un inedito di Elefante), ma dobbiamo attendere il 1986 perchè Ehart, una volta ottenuto assieme a Williams un contratto con la MCA, ricontatti Walsh al fine di riformare la band; completarono la line-up Billy Greer, bassista degli Streets, e Steve Morse, considerato uno tra i chitarristi più quotati al mondo e messosi già in luce col prog-rock strumentale dei Dixie Dregs e con diversi album solisti - anche questa volta i Kansas decidono di fare a meno del violino ed evitano la ricerca di un sostituto di Steinhardt.

Il frutto di questi nuovi Kansas è l'album Power, dal titolo emblematico: la band sceglie un potente approccio hard-rock, eliminando quasi del tutto i vecchi retaggi prog (complice l'assenza della penna più "progressive" del gruppo, cioè Livgren). Si tratta di un disco concepito per l'airplay, e sicuramente poco appetibile per i fan "fondamentalisti", ma comunque è di qualità eccelsa: mai una caduta di tono o uno sbadiglio per l'ascoltatore. Tra i momenti più riusciti sicuramente la roboante opener Silhouettes In Disguise e il dolce singolo All I Wanted (che conferma Walsh impareggiabile vocalist), ma anche il resto dei brani si difende benissimo e mostra un gruppo in forma e capace di scrivere ed eseguire ottimi brani.

In The Spirit Of Things (1988)

Per il disco successivo, i Kansas mantengono inalterata la line-up (permane purtroppo l'assenza di un violinista in formazione) e continuano nella loro ricerca di brani adatti all'airplay, facendosi aiutare anche da songwriter esterni attivissimi nel circuito AOR; stavolta però decidono di fare le cose in grande creando, con Bob Ezrin alla console (un nome per tutti: The Wall dei Pink Floyd), un concept-album che recupera quell'influsso sinfonico che era mancato nel precedente ma sempre mantenendosi nei limiti della forma canzone. Ecco in poche righe il nuovo lavoro, In The Spirit Of Things, un disco bello e sfortunato: bello perchè è pressochè privo di momenti di stanca, ben composto, strutturato e suonato; sfortunato perchè, essendo uscito per la MCA in un momento in cui l'etichetta era in fase di ristrutturazione, impegnata a liberare il campo alla stellina pop Tiffany (che si rivelò essere una vera e propria meteora), non ottenne praticamente alcuna promozione e le vendite furono disastrose. Il concept è ambientato nella città fantasma americana di Neosho Falls, divenuta tale (e mai più ricostruita) nel 1951 a seguito di un'inondazione devastante, in cui il protagonista ritorna diversi anni dopo e immagina di ripercorrere le vicende della città guardando le foto ancora appese all'interno della scuola. In mezzo a pezzi di tale qualità è quasi impossibile segnalare i migliori: personalmente propendo per l'opener Ghosts (dalle chiare reminescenze Pinkfloydiane), per il laccato ma ineccepibile AOR di One Man One Heart e di Stand Beside Me, e per la drammatica conclusione rappresentata dal trittico finale Rainmaker / T. O. Witcher / Bells Of Saint James - in particolare il devastante intermezzo strumentale di Rainmaker vale da solo l'acquisto del disco.

Live At The Whiskey + Box Set (1992) (1994)

Nemmeno il supporto della critica riesce ad impedire il nuovo scioglimento della band, ritrovatasi senza contratto a causa delle scarse vendite, e Steve Morse tenta la fortuna con la Steve Morse Band. Ma i Kansas qualche anno dopo si riformano: della line-up storica abbiamo solo Ehart, Walsh e Williams; Greer conserva il suo posto al basso, mentre i nuovi arrivi sono David Ragsdale (violino e chitarra) e Greg Robert (tastiere - già collaboratore della band ai tempi di In The Spirit Of Things e del successivo tour).

La rinata band torna a far sentire la sua voce con Live At The Whiskey, una registrazione di un concerto che propone i classici della band con qualche sorpresa (ad esempio Livgren che si unisce ad i compagni per l'esecuzione di Dust In The WInd); più tardi la Sony decide di festeggiare il ventennale della band con l'uscita di un cofanetto (doppio cd antologico con libro) che presenta una buona selezione dei brani, qualche inedita versione dal vivo e un brano nuovo di zecca, Wheels.

Freaks Of Nature (1995)

Un anno dopo viene alla luce il nuovo album, Freaks Of Nature, che segna due graditi ritorni: Jeff Glixman alla produzione e Kerry Livgren (purtroppo ancora come semplice collaboratore), che dona al gruppo il brano Cold Grey Morning. Il disco può essere visto come un ideale crocevia tra Audio Visions e Power: le tastiere passano di nuovo in secondo piano, mentre elemento trainante di quasi tutti i brani è il violino di Ragsdale che non fa assolutamente rimpiangere Steinhardt. Steve Walsh (autore - escluso il già citato pezzo di Livgren - di tutti i brani con l'appoggio ogni tanto di Ragsdale e Ehart) magari non possiede la fertile vena compositiva di Livgren, ma riesce comunque a tirar fuori pezzi interessanti e mai scontati; tra le vette citiamo le energiche Black Fathom 4 e Freaks Of Nature, l'atmosfera eterea di Under The Knife e la meravigliosa coda orchestrale di Peaceful And Warm. Come di consueto, al disco segue un tour che vedrà i Kansas appoggiare gli Styx nel loro reunion tour; alla fine di esso, Robert abbandona la band, seguito subito dopo da Ragsdale che decide di tentare la carriera solista.

Always Never The Same + King Biscuit Flower Hour Presents Kansas (1998)

Robert non viene rimpiazzato, mentre il posto vacante di violinista viene rioccupato da Robby Steinhardt - ulteriore ricompattamento del nucleo originale dei Kansas. Il nuovo album a cui lavorano i Kansas è un pò particolare, in quanto è una raccolta dei brani storici del gruppo rivisitati con l'ausilio della London Symphony Orchestra, affiancati da tre inediti di ottimo livello firmati da Walsh (The Sky Is Falling, In Your Eyes e Need To Know) e una magnifica cover di Eleanor Rigby dei Beatles.
Disco molto riuscito, che offre la possibilità di ascoltare in una veste diversa dei capolavori assoluti come Song For America, Dust In The Wind e Miracles Out Of Nowhere; talvolta il restyling attuato dall'orchestra porta ad ottenere delle versioni forse anche migliori delle originali - basti pensare a Cheyenne Anthem e alla sua simpatica cavalcata strumentale.
Lo stesso anno vede l'uscita di King Biscuit Flower Hour Presents Kansas, un live che raccoglie la registrazione di una data del tour di In The Spirit Of Things: ottima resa sonora così come l'esecuzione, e scaletta come prevedibile incentrata sui due album dell'era Morse.

Somewhere To Elsewhere + Device-Voice-Drum (2000)(2002)

Qualche anno dopo i Kansas daranno alle stampe il loro (per il momento) ultimo disco in studio, Somewhere To Elsewhere, che ricostituisce la line-up storica della band: questo lavoro vede infatti il ritorno di Dave Hope e di Kerry Livgren in formazione (con quest'ultimo autore anche di tutti i brani del disco). Purtroppo non è tutto oro quello che luccica: malgrado tale spiegamento di forze e una produzione pulitissima, il disco delude un pò le aspettative.
Intendiamoci, non è un brutto disco, ma molti dei suoi pezzi scivolano via senza lasciare molte tracce e mostrano una band che non ha molta voglia di sorprendere l'ascoltatore come succedeva in passato; inoltre, è facile scorgere tra i vari brani un'aria di autocelebrazione che alla lunga risulta essere un pò fuori luogo. I brani capolavoro non mancano: l'opener Icarus II riporta indietro di vent'anni l'ascoltatore, con quelle note di piano così familiari, e sulle stesse coordinate si muove anche Myriad, ma è innegabile l'amaro in bocca che il disco lascia. 
 
E' del 2002 l'ultima (finora) pubblicazione del gruppo: un doppio cd e un DVD live dell'ultimo tour, ennesima occasione per sentire una band affiatatissima alle prese con un repertorio che farebbe invidia a chiunque. Consiglio in particolare il DVD, che consente di apprezzare la prestazione stellare di questi "vecchietti" (che in quanto a preparazione ed attitudine fanno mangiare la polvere a gran parte dei musicisti odierni), nonchè l'esecuzione a dir poco chirurgica dei pezzi - una nota di merito a Walsh che conserva la stessa grinta vocale di quasi trent'anni fa.




Mirrormaze
Novembre 2003

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