Luca Calabrese - I shin den shin

 

I più attenti appassionati di progressive rock potranno riconoscere il nome di Luca Calabrese come membro del Metamorfosi Trio, che accompagnò i grandi Isildurs Bane nell'album "Mind vol. 3", datato 2003. Da allora, Calabrese è diventato praticamente un collaboratore fisso della band svedese, senza distaccarsi dalla sua attività nel panorama più puramente jazzistico. "I shin den shin", come altri lavori del catalogo della Moonjune Records, è un disco che nasce come frutto dell'improvvisazione. E per questa occasione, il trombettista italiano si è contornato di una vera e propria parata di stelle internazionali.
 
Al suo fianco, infatti, troviamo il chitarrista francese di origine vietnamita Le Nguyen, il chitarrista inglese Mark Wingfield e due musicisti tedeschi esperti di Touch Guitar quali Markus Reuter (che abbiamo già seguito e che continueremo a seguire con piacere su questa pagina) e Alexander Dowerk. 
 
"I shin den shin" è un termine giapponese che va ad indicare una forma di comunicazione che trascende le parole e che si realizza attraverso l'empatia, la condivisione di sentimenti ed un modo di comprendersi senza necessità di comunicare verbalmente. E' un concetto che può essere esteso in vari tipi di contesti, compreso il campo artistico, riferendosi al legame che nasce tra il creatore di un'opera e i suoi fruitori. E con questo disco, Calabrese e soci, sembrano voler trasmettere agli ascoltatori emozioni e sensazioni particolari, creando scenari sonori sfuggenti, ipnotici, eterei, legati ad atmosfere suggestive che sembrano raccogliere insieme elementi di jazz, di ambient, di prog, di corrieri cosmici e di elettronica, affidandosi alla tecnologia, ma tenendo ben saldi tra le mani i loro strumenti. C'è una carica di tensione non indifferente nel flusso rarefatto e che diventa incessante man mano che i minuti dell'ascolto scorrono. 
 
La tromba va spesso in primo piano, ma sembra più seguire quel percorso attraverso cui oltre cinquanta anni fa Miles Davis sconvolgeva le regole del jazz, a partire da "In a silent way", quando i momenti di pausa e quelli di silenzio avevano la stessa importanza delle sequenze di note che diffondeva lo strumento. Così, senza l'ausilio di una sezione ritmica, diventano fondamentali i tappeti creati da Reuter e Dowerk, mentre le chitarre elettriche ricamano in sottofondo dando colore timbrico, ma seguendo lo stesso principio, col compito di avvolgere, di proseguire con lentezza, di affiancarsi agli altri strumenti con una narrazione sonora che ha a tratti anche un sapore cinematografico, mantenendo una vena di malinconia persistente durante l'ascolto. Nei sei lunghi brani proposti, la musica rimane costantemente sospesa, si muove senza fretta, a tratti è straniante e riesce ad esercitare un fascino magnetico che spinge a concentrarsi su di essa e sui suoi sviluppi senza distrazioni. 
 
Quasi settanta minuti in tutto. Registrati in un'ora e mezza. Con una decisione estemporanea, presa senza nessuna programmazione dopo che i cinque musicisti avevano partecipato ad un'altra sessione di registrazione in quello stesso giorno. Un disco difficile e sperimentale, che va al di là delle barriere di genere, non adatto a tutti i palati, ma decisamente bello e riuscito per chi è abituato a questi tipi di pietanze. Tutto merito di un impianto sonoro sotto certi aspetti essenziale, ma equlibrato e ricco di sfumature, pur col suo andamento ondivago, che fotografa un felice momento di ispirazione di cinque grandi personalità musicali. 

2024, Moonjune Records

1) Dissolution; 2) Appointment with the truth; 3) A new reality; 4) Pure mind (without a body); 5) Heart to heart mind to mind; 6) Magnetic soul.

Luca Calabrese: Pocket trumpet; Nguyen Le: electric guitar; Markus Reuter: Touch guitar AU8, soundscapes; Mark Wingfield: electric guitar; Alexander Dowerk: Touch guitar S8.

Peppe
gennaio 2025

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