
Gli
Arabs in Aspic si sono fatti apprezzare in Italia grazie ad alcuni
dischi pubblicati dalla Black Widow e ad un'apparizione al festival di
Veruno nel 2015. La loro musica è sempre stata un concentrato di
hard-rock, psichedelia e prog fortemente vintage, con suoni e colori che
sembrano provenire direttamente dagli anni '70. Tuttavia era sempre
mancato qualcosa per far sì che la loro proposta fosse pienamente
convincente, un quid difficile da individuare, ma che faceva dire "sì,
bravi, ma...". Syndenes magi è il disco che nel 2017 spazza via ogni
difetto, ogni perplessità, ogni piccola ingenuità. Il gusto rétro resta
intatto, ma il lavoro finale risulta perfettamente inquadrato grazie ad
un equilibrio finalmente trovato in pieno, con dinamiche fantasiose e la
giusta alternanza tra le parti fragorose e quelle più tranquille.
Disponibile sia in cd che in LP, l'album porta indietro nel tempo anche
con la struttura, al punto che la forma canzone maggiormente utilizzata
prima d'ora lascia il posto a due lunghi brani sul lato A ed una suite
ad occupare l'intero lato B. Ma andiamo ad analizzare più nel dettaglio
questi contenuti.
L'inizio della title-track, che apre il disco, affidato al mellotron e a ritmi in crescendo emana immediatamente un alone di magia. Sembra una via di mezzo tra Watcher of the skies e Starless che esplode definitivamente verso i due minuti instradandosi in una direzione fortemente crimsoniana. Apparentemente con poco gli Arabs in Aspic ci danno subito uno scossone che emoziona e colpisce positivamente, ma anche il prosieguo del brano (che supera i dodici minuti) dà bei segnali, tra gustosi echi floydiani, nuove incursioni in terreni cari ai King Crimson del 1973-74 e agli Anglagard e suggestioni nordiche quando ci sono le parti vocali in madrelingua.
Partenza col botto, ma la successiva Morket 2 non è da meno con nove minuti e mezzo che vedono una nuova immersione nei seventies. In questa occasione, però, le tinte si fanno ancora più scure ed anche se a guidare sono i timbri di Hammond, mellotron, moog ed il canto sferzante sempre in norvegese, si respira forte un'aria sabbathiana per tutta la durata del brano fino alle dissonanze finali.
Si arriva così al punto forte dell'album con Morket 3, suite di oltre venti minuti, che rappresenta, al contempo, la summa della carriera degli Arabs in Aspic ed il loro picco più alto e che mostra in pieno una raggiunta maturità. L'apertura è pacata e acustica, dai toni pastorali dettati da chitarra e flauto, ma la musica poi si inasprisce con l'entrata del canto che dà una spinta verso un folk acido. Gli echi psichedelici del passato cominciano a farsi sentire, spuntano cori stralunati e il crescendo sgorga in un hard-prog che evoca Uriah Heep e Deep Purple con riff incandescenti. Verso la metà del brano si avverte di nuovo l'influenza dei Pink Floyd e così atmosfere sognanti vanno ad avvicendarsi con sonorità più robuste. Ma sono proprio le sensazioni oniriche a prendere il sopravvento con passaggi più stravaganti e cosmici, al punto da spingersi verso la scena tedesca di Ash Ra Tempel e Agitation Free. Si arriva alla fine della chilometrica composizione con un ritorno alla tranquillità folk che ne aveva caratterizzato l'inizio.
Concludiamo ribadendo quanto accennato all'inizio: con Syndenes magi gli Arabs in Aspic trovano finalmente la piena quadratura del cerchio e le potenzialità emerse solo in parte in passato arrivano con questo album ad un'assoluta definizione, facendo sì che il gruppo possa essere visto come una realtà particolarmente forte ed importante dell'attuale panorama prog. Disco passatista quanto si vuole, ma bellissimo, convincente ed emozionante.
L'inizio della title-track, che apre il disco, affidato al mellotron e a ritmi in crescendo emana immediatamente un alone di magia. Sembra una via di mezzo tra Watcher of the skies e Starless che esplode definitivamente verso i due minuti instradandosi in una direzione fortemente crimsoniana. Apparentemente con poco gli Arabs in Aspic ci danno subito uno scossone che emoziona e colpisce positivamente, ma anche il prosieguo del brano (che supera i dodici minuti) dà bei segnali, tra gustosi echi floydiani, nuove incursioni in terreni cari ai King Crimson del 1973-74 e agli Anglagard e suggestioni nordiche quando ci sono le parti vocali in madrelingua.
Partenza col botto, ma la successiva Morket 2 non è da meno con nove minuti e mezzo che vedono una nuova immersione nei seventies. In questa occasione, però, le tinte si fanno ancora più scure ed anche se a guidare sono i timbri di Hammond, mellotron, moog ed il canto sferzante sempre in norvegese, si respira forte un'aria sabbathiana per tutta la durata del brano fino alle dissonanze finali.
Si arriva così al punto forte dell'album con Morket 3, suite di oltre venti minuti, che rappresenta, al contempo, la summa della carriera degli Arabs in Aspic ed il loro picco più alto e che mostra in pieno una raggiunta maturità. L'apertura è pacata e acustica, dai toni pastorali dettati da chitarra e flauto, ma la musica poi si inasprisce con l'entrata del canto che dà una spinta verso un folk acido. Gli echi psichedelici del passato cominciano a farsi sentire, spuntano cori stralunati e il crescendo sgorga in un hard-prog che evoca Uriah Heep e Deep Purple con riff incandescenti. Verso la metà del brano si avverte di nuovo l'influenza dei Pink Floyd e così atmosfere sognanti vanno ad avvicendarsi con sonorità più robuste. Ma sono proprio le sensazioni oniriche a prendere il sopravvento con passaggi più stravaganti e cosmici, al punto da spingersi verso la scena tedesca di Ash Ra Tempel e Agitation Free. Si arriva alla fine della chilometrica composizione con un ritorno alla tranquillità folk che ne aveva caratterizzato l'inizio.
Concludiamo ribadendo quanto accennato all'inizio: con Syndenes magi gli Arabs in Aspic trovano finalmente la piena quadratura del cerchio e le potenzialità emerse solo in parte in passato arrivano con questo album ad un'assoluta definizione, facendo sì che il gruppo possa essere visto come una realtà particolarmente forte ed importante dell'attuale panorama prog. Disco passatista quanto si vuole, ma bellissimo, convincente ed emozionante.
2017, Apollon Records
Peppe
novembre 2020
novembre 2020
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