Ma veniamo al piatto forte.
Ero andato al concerto con la paura di perdermi in uno spettacolo ricco di tecnicismo e con poca emozione  ma, sebbene la proposta del trio non sia di quelle più immediate, la musica e il cuore l'ha fatta da padrone.
Un istrionico Levin ha condotto per mano il pubblico nei meandri della proposta del suo trio con bravura e tanta simpatia.
Alternando sapientemente pezzi nuovi, con cose più conosciute (sia del trio che dei King Crimson) l'ora e quarantacinque minuti di musica è scivolata via come un bel bicchiere di birra fresca e frizzante.
Un Mastellotto (che non avevo mai visto dal vivo) assoluto animale pestante: può non piacere per questo, ma di certo ha uno stile personalissimo ed è estremamente funzionale alla musica degli Stick Men.
Il concerto inizia con quella Concussion che sembra proprio un manifesto d'intenti e fa capire cosa si ascolterà da lì a poco. Ritmi dispari, pause, aggressività ma tutto con tanta classe. Non si pensi però che il concerto sia stato aspro e ruvido: momenti rarefatti e ipnotici non sono mancati, soprattutto quando 
la sperimentazione e l'improvvisazione l'hanno fatta da padrone.
Parlo di pezzi ome Open pt.3, tratto da Open, che dal vivo è stato veramente suggestivo.
Nude Ascending Staircase e Crack in the sky cantata in italiano (Uno spiraglio nel cielo) sono altri bei momenti in cui Levin sembra un tutt'uno con Reuter in ottima forma.
Cusp diventa cattivissima e ci potrebbe stare bene in un concerto del Re Cremisi.
E a proposito del Re, viene ricordato e onorato con Vrooom Vrooom prima e con Red a fine concerto (al secondo bis).
Breathless di papà Fripp viene eseguita in una versione veramente coinvolgente.
Stupendo, poi, l'arrangiamento del quarto movimento dell'Uccello di fuoco di Stravinsky.

Ma se il gruppo non ha deluso le aspettative (anzi, come dicevo ha positivamente sorpreso), quello che mi ha ulteriormente soddisfatto è stato il pubblico attento ma anche calorosamente coinvolto: tanti ragazzi e non che insieme hanno dato il loro buon supporto ai tre musicisti mentre la musica sovrana scivolava via su tutti.

Si conclude così più che degnamente direi la diciottesima edizione dell'Afrakà rock festival che contro un po' tutto e tutti Lino Vairetti continua (e gliene siamo grati) a curare e proporre ora, nella città di Napoli.

Montag 
gennaio 2013