| Brani: | |
| 1-Corale di San Luca; 2-Laughter; 3-Over Birkerot; 4-Sea; 5-Passing cloud; 6-Cosmic surgery; 7-Aeon; 8-Beppe’s shelter | |
| Formazione: | |
Alex
Maguire: Fender Rhodes piano, Hammond organ, mellotron, synth; Michelle
Delville: electric guitar, Roland GR-09; Tony Bianco: drums. With special guest Richard Sinclair: vocals (1,5); bass guitar (1,2). | |
| Produced by Doubt 2010, Moonjune Records - Durata totale: 52:57 |
Prendiamo un’etichetta come la Moonjune Records, da sempre attenta all’attività dei musicisti della scuola canterburiana… Prendiamo un trio chiamato Doubt e vediamo un po’ chi ne fa parte… Alex Maguire, tastierista britannico che ha sostituito Dave Stewart nella più recente incarnazione degli Hatfield and the North. Michelle Delville, chitarrista dei belgi Wrong Object, gruppo che ha suonato con Elton Dean e che non ha mai nascosto una forte passione softmachiniana. Tony Bianco, batterista “prezzemolino” che nel suo vasto curriculum vanta collaborazioni con il già citato Dean e con Keith Tippet… Aggiungiamoci un ospite eccellente come Richard Sinclair,
che non ha certo bisogno di presentazioni… Be’, immagino già che a
questo punto tutti gli appassionati della scena di Canterbury stiano
sbavando per la voglia di ascoltare Never pet a burning dog,
album d’esordio di questa band. E immagino come questa voglia crescerà
nel momento in cui vado ad affermare che tutte le aspettative dettate
dalle premesse appena elencate sono pienamente rispettate dai contenuti
di questo lavoro. Già l’inizio è da pelle d’oca: nei tre minuti di Corale di San Luca,
dopo alcuni rintocchi di campane, il piano elettrico di Maguire e la
voce di Sinclair regalano subito un qualcosa di magico che potrebbe
essere vista come la Calyx del nuovo millennio! Una grazia che va direttamente al cuore e che fa subito centro! Senza soluzione di continuità segue Laughter e
qui siamo in una direzione di jazz-rock vibrante ed aggressivo, con la
chitarra distorta di Delville in evidenza. Ed è proprio questo
l’indirizzo verso cui si spingono i Doubt nel prosieguo del cd: una
fusion moderna e imprevedibile, dalla quale traspaiono in maniera netta
le capacità strumentali e improvvisative dei musicisti, perfettamente a
loro agio in questo contesto. E’ un discorso sperimentale, ma senza
eccessi, nel quale è ben viva l’eco di un passato che appartiene al DNA
dei nostri, i quali sembrano raccogliere senza fatica l’eredità lasciata
da mostri sacri del calibro di Soft Machine, Hatfield & the North e National Health.
Un’eredità comunque trasformata e plasmata seguendo il proprio estro,
grazie al quale l’album realizzato risulta pienamente convincente nella
sua natura canterburiana e costantemente in bilico tra jazz nervoso,
tentazioni frippiane e aperture verso la quiete, l’atmosfera e la melodia.
Peppe
Luglio 2010
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