Brani:

1-C'è un paese al mondo; 2-Fase; 3-Al mancato compleanno di una farfalla; 4-Elzeviro; 5-Mercanti di pazzie; 6-Antiche conclusioni negre; 7-Il fischio del vapore (bonus track); 8-Cono di gelato (bonus track)

Formazione:

Sergio Lattuada: pianoforte, organo, piano elettrico, voci; Roberto Giuliani: chitarra elettrica, pianoforte, voci; Leonardo Schiavone: clarinetto, flauto, saxofono; Maurizio Bianchini: corno, tromba, vibrafono, percussioni, voci; Alberto Ravasini: basso, chitarra acustica, flauto dolce, voce solista; Sandro Lorenzetti: batteria
Alla realizzazione del disco hanno inoltre partecipato gli amici:
Tiziana Botticini: arpa; Eleonora De Rossi e Susanna Pedrazzini: violini; Giovanna Correnti: violoncello; Paolo Rizzi: contrabbasso

Prodotto da: Sandro Colombini
Anno: 1975, Produttori Associati - ristampa 1994 Mellow Records - Durata: 50:12

Sul rock progressivo italiano degli anni '70 si può dire tutto e il contrario di tutto! Si è trattato di un movimento talmente vasto, talmente ricco, talmente di qualità, che spesso e volentieri la mitizzazione che ne viene fatta al giorno d'oggi è più che giustificata, anche se capita di sentire opinioni molto contrastanti sulla validità della scena e/o delle opere che meglio la rappresentano. Di sicuro non mancano artisti e opere ampiamente sopravvalutati…

Tra le numerosissime formazioni che hanno vissuto quel periodo d'oro e ne sono state protagoniste è difficile vedere con esattezza assoluta quali sono i punti di riferimento imprescindibili, quelli che, magari, vanno presi in considerazione prima di altri. Eppure ci sono dischi sui quali l'unanimità di pareri è quasi assoluta, che sono individuati, a ragion veduta, come veri e propri punti di riferimento della nostra scena progressiva. Uno di questi, che accontenta solitamente tutti, critica e appassionati, è sicuramente l'omonimo album dei lombardi Maxophone.
Un'introduzione pianistica classicheggiante di grande raffinatezza fa da preludio a C'è un paese al mondo che si sviluppa, attraverso cambi di rotta continui, fra melodie mediterranee accattivanti, spinte di rock deciso e fraseggi jazz, con una strumentazione particolare i cui acuti ricami sonori sono sempre incantevoli. Un grande brano che mette subito in mostra le qualità dei Maxophone, comunque ben evidenti anche nel prosieguo del lavoro, a partire dalle dinamiche imprevedibili della strumentale Fase e di un altro pezzo da novanta come Al mancato compleanno di una farfalla. Ed è proprio la caratteristica della dinamica quella che forse più di ogni altra riesce a far emergere l'album, permettendo un'imprevedibilità che denota fantasia e che rende ogni volta l'ascolto pieno di sorprese. Non sai mai dove una loro composizione può andare a parare tra finezze continue, accelerazioni, rallentamenti, slanci vigorosi di chitarra rock, interscambi strumentali pregevoli, una sezione ritmica che si destreggia magnificamente tra prog e jazz, clarinetto, flauto, sax, corno, tromba, vibrafono e archi che favoriscono una varietà timbrica degna di nota… E' questo che mettono in atto i Maxophone. Un personale spettacolo musicale dalle caratteristiche appena evidenziate e dal fascino indubbio. E il bello è che tutto si sussegue e si lascia ascoltare con una naturalezza che ha dell'incredibile. Nonostante una certa complessità negli arrangiamenti e la varietà di trame che si sviluppano per tutta la durata del disco, infatti, le composizioni dei Maxophone si dimostrano sempre godibili e non si avverte la minima forzatura: tutto fila via liscio, con estrema scioltezza e l'ascolto, che pure deve essere attento, non risente minimamente di questa ricercatezza musicale. Anche gli altri brani ne sono un esempio. Vedi il pathos iniziale di Elzeviro che sfocia in una serie di intrecci strumentali tipici del rock sinfonico di classe; le atmosfere acustiche, favolistiche e delicate di Mercanti di pazzie; il finale affidato ad Antiche conclusioni negre in cui riemerge, spedito, un jazz-rock infuocato, ma che termina con una veste più classicheggiante e corale.
Al disco seguirà una replica cantata in inglese, mentre la ristampa in cd degli anni '90 contiene anche due brani di minore interesse derivanti da un singolo.
Se ancora non conoscete quest'album, avrete capito già dalle prime righe di questa recensione che stiamo parlando di un'opera fantastica che non deve mancare in una collezione progressive che si rispetti. Tutte le qualità evidenziate vengono a galla in maniera evidente e i Maxophone, pur partendo da modelli derivanti dal rock sinfonico britannico (Genesis e Gentle Giant in primis) e dalle esperienze della PFM, si mostrano capaci di trovare una via personale al prog, realizzando un lavoro tutt'oggi visto come uno degli album fondamentali della scena italiana.

Peppe
Dicembre 2006