va ormai avanti da oltre 35 anni, da quando, cioè, nel 1967 si costituisce la band a Londra. E' il periodo della celeberrima Swinging London, numerosi giovani creano gruppi rock sperimentando nuove forme musicali e riappropriandosi della tradizione classica, folkloristica e blues.


Nel fervore di questo movimento, un gruppo di ragazzi, tra cui figurano Anderson e John Evan (28 marzo 1948), provenienti da una cittadina dell'Inghilterra settentrionale, Blackpool, e le cui prime esperienze dilettantistiche li vedono alle prese con compagini come The Blades e John Evan Band, comincia a far parlare di sé grazie ad apprezzate esibizioni in diversi locali, suonando soprattutto brani soul e rhythm & blues. Si unisce a loro Glenn Cornick (24 aprile 1947), e continuano ad utilizzare numerosi nomi ai concerti; oltre a quelli già citati adottano anche John Evan Smash, Navy Blue, Bag of Blue… Entrando in contatto con i McGregor's Engine, un gruppo blues, decidono di cambiare la line-up, accogliendo due membri di questa band: Mick Abrahams (7 aprile 1943), grandissimo amante del blues, e Clive Bunker (12 dicembre 1946).
Con la sigla Bag of Blue, nel giugno 1967, si presentano al Marquée, ma solo l'anno successivo i musicisti scelgono di chiamarsi Jethro Tull, che altro non è che il nome di un agronomo inglese del XVIII secolo, famoso per l'invenzione della seminatrice e la realizzazione di vari saggi di ippologia. Questo curioso pseudonimo è suggerito dal booking agent del gruppo, David Robinson, che riesce a far divenire i Tull una delle attrazioni settimanali del Marquée. Dopo una serie di integrazioni, al punto che per un breve periodo la formazione si ritrova con sette elementi, si preferisce restringere la line-up, che alla fine risulta composta da Ian Anderson alla voce e al flauto, Mick Abrahams alla chitarra, Glen Cornick al basso e Clive Bunker alla batteria.
La band, con il nucleo così stabilito, ottiene subito un discreto riscontro, arrivando persino a dominare le scene nell'ottava edizione del "Jazz, Blues & Popular Music Festival", tenutosi al Kempton Park di Sunbury davanti a 20000 persone (vi partecipano anche John Mayall, Traffic, Jeff Beck, Tyrannosaurus Rex, Roland Kirk, Joe Cocker, The Nice e Ten Years After). La manifestazione si rivela un vero e proprio trampolino di lancio per i Jethro Tull, che si erano fatti applaudire nei piccoli locali, ma che dimostrano di essere apprezzati enormemente pure di fronte ad una platea molto più ampia. Inizia, dunque, la carriera discografica e in quello stesso anno, il '68, escono dapprima due singoli, "Aeroplane/Sunshine Day", per l'etichetta MGM, col nome del gruppo storpiato in Jethro Toe sulla copertina del 45 giri, e "A Song For Jeffrey/One For John Gee" (che segna il passaggio alla Island), quest'ultima canzone dedicata al manager del Marquée John Gee, e poi il long playing del debutto "This Was", contenente brani che rivelano la grande passione dei musicisti per il blues, senza disdegnare delle incursioni nel folk tradizionale anglosassone. La buona accoglienza di tale lavoro è solo il primo passo di una lunghissima attività ricca di soddisfazioni.

L'anno successivo avviene già uno sconvolgimento nella formazione: il chitarrista Mick Abrahams, infatti, legato al blues in modo praticamente viscerale, lascia la band a causa dei contrasti con Anderson, che invece è alla ricerca di un sound più originale. Abrahams finisce così col dar vita ai Blodwyn Pig insieme a Jack Lancaster (sassofono), Andy Pyle (basso, ex McGregor's Engine) e Ron Berg (batteria), con i quali si cimenta in due dischi di blues-rock, "Ahead Rings Out" (1969) e "Getting To This" (1970). Dopo questi due lavori, Lancaster se ne va, e viene sostituito dall'ex Yes Peter Banks; tuttavia la nuova line-up ha breve durata, in quanto i Blodwyn Pig si sciogliono e Abrahams si eclisserà un po' dalle scene (non prima di aver tentato inutilmente di riformare la band anche con l'ausilio di Clive Bunker), tornando agli onori della cronaca soltanto negli anni recenti con un album in cui rielabora le composizioni di "This Was".
Alle audizioni che i Tull organizzano per trovare un altro chitarrista si presentano un centinaio di candidati, ma solo in pochi si mostrano all'altezza. Tra costoro figura Toni Iommi: la collaborazione che sembra sul punto di nascere non vedrà la luce, ciò malgrado Iommi si ritaglierà ugualmente uno spazio importante nella storia del rock grazie all'hard granitico dei Black Sabbath. Il nuovo chitarrista dei Jethro Tull diventa, invece, Martin Lancelot Barre (17 novembre 1946), ex Gethsemane, il cui sodalizio con Anderson riuscirà a protrarsi fino ai nostri giorni. Con questa formazione vengono dati alle stampe il singolo "A Christmas Song/Love Story" e, poi, "Stand Up", album uscito nel 1969 e che vira verso un rock più aggressivo, che non perde la propria matrice blues e si arricchisce di ulteriori elementi folk e barocchi (esemplare la "Bourée" bachiana arrangiata in chiave rock col flauto protagonista). I Tull cominciano ad avere un discreto seguito, ed i fans si moltiplicano anche in virtù delle numerose esibizioni live in giro per l'Europa. Nel maggio dell'anno in corso pubblicano un altro singolo, "Living In The Past/Driving Song", che arriva al terzo posto delle classifiche inglesi.

Anderson mette immediatamente in mostra tutto il suo carisma, non solo come musicista (nell'arco della carriera, oltre a ribadire la sua bravura di cantante e flautista, si servirà di svariati strumenti tra chitarre acustiche, mandolini, sax e diversi fiati) e grande front-man sul palco, ma anche come personaggio nuovo nel proscenio della musica rock, professionista di prim'ordine e dalla fine intelligenza.
Uno dei motivi dei tanti cambi di formazione nei Jethro Tull risiede nelle esigenze di "disciplina": in un periodo in cui l'uso delle droghe è pratica comune, in cui dominano i trip psichedelici e le decantate "porte della percezione", in cui è ancora viva l'eco della beat generation di Ginsberg e Leary, Ian Anderson non ha problemi ad andare controcorrente e a demonizzare il consumo di stupefacenti, affermando chiaramente che non ha bisogno di queste cose per stimolare la sua creatività e che non ama contornarsi di gente che ne è avvezza. Con i suoi testi ironici, pungenti e dissacranti va contro le mode, contro la dilagante cultura della trasgressione, contro le esperienze hippie dei figli dei fiori, contro i 'fricchettoni' e contro quelle che indica come "effimere ideologie rivoluzionarie". Emblematiche le parole di "Living In The Past":

«Felice e sorridente/Percorro chilometri per bere la tua acqua/Sai che mi piacerebbe amarti/Sopra di te non c'è nessun altra/Ce ne andremo a passeggiare/Mentre altri urlano i disastri della guerra/Oh non ci arrenderemo/Andiamo a vivere nel passato/Un tempo ero socievole/Ogni ragazzo e ogni ragazza erano miei amici/Adesso c'è la rivoluzione/Ma non sanno contro cosa lottano/Lasciateci chiudere gli occhi/Fuori le altre vite corrono troppo veloci/Oh non ci arrenderemo/Continueremo a vivere nel passato».

La grande arguzia e vitalità del leader porterà ad un rapporto particolare con la stampa, specie quella britannica, caratterizzato da un amore/odio che si acuirà quando la band comincerà ad avere un notevole successo pure negli USA. Ritornando all'attività discografica, il 1969 vede l'uscita di un altro singolo, "Sweet Dream/17" (bellissimo il primo brano), ma la successiva tappa, fondamentale per la carriera dei Tull, è il Festival dell'isola di Wight. Il 30 agosto del 1970, infatti, in occasione dello storico avvenimento, il gruppo si esibisce in una performance strepitosa, apprezzata da pubblico e critica. Anderson è ormai un interprete di primissimo piano nell'ambito rock, e la sua personalità emerge una volta di più dal vivo attraverso una presenza scenica che ha del fenomenale. Il pubblico ai concerti rimane affascinato da questo cantante: un menestrello pazzo e dolce, un giullare istrionico, guascone e vero animale da palcoscenico, col suo assurdo abbigliamento, fatto di capelli e barba lunghi ed arruffati, un vecchio cappottone consumato e grossi stivaloni di pelle. Soprattutto, è da sottolineare la sua incredibile mimica, comprendente pose gigionesche, smorfie e curiose espressioni, occhi spiritati, corse sul palco, per non parlare del singolare modo di suonare il flauto, tutt'altro che tecnico, soffiando letteralmente nello strumento (Ian prende spunto dal jazzista Roland Kirk), con movimenti quasi rabbiosi e mantenendosi in equilibrio su una sola gamba a mo' di trampoliere.
La straordinaria tenuta del palco di Anderson, che rende i concerti dei Tull uno spettacolo da non perdere, è tale da catturare facilmente, da far 'innamorare' stuoli di fans, e non tardano a scattare i paragoni col Pifferaio Magico che riesce a stregare col suono del suo strumento.

Ancora un singolo all'inizio del 1970, "Witch's Promise/Teacher", che segna ufficialmente l'entrata in formazione del tastierista John Evan, finora indicato sempre quale semplice collaboratore esterno. Nello stesso anno viene pubblicato "Benefit", album che segue la scia del precedente da un punto di vista stilistico. Poi, un nuovo cambio tra i componenti del gruppo con il bassista Jeffrey Hammond-Hammond (30 luglio 1946; si dice che a lui fosse dedicata la canzone "A Song For Jeffrey" presente su "This Was") al posto di Cornick, troppo attratto dal famoso motto "sex, drugs & rock 'n' roll" per resistere a lungo sotto l'egida di Anderson; perciò, un po' per le sue continue avventure con le groupies ed un po' per i caratteri inconciliabili, arriva la separazione. Cornick va, così, a formare i Wild Turkey con Tweke Lewis (chitarra), Jeff Jones (batteria), Gary Pickford Hopkins (voce e chitarra) e Jon Blackmore (chitarra), che producono due album, "Battle Hymn" (1971) e "Turkey" (1972, con Mick Dyche e Steve Gurl al posto di Blackmore). Dopo quest'esperienza si trasferirà dapprima in Germania, dove suonerà con i Karthago e poi negli Stati Uniti dove si unirà ai Paris.

Nel 1971 i Jethro Tull realizzano "Aqualung", album grazie al quale la band raggiunge la sua consacrazione mondiale. Nonostante problemi di varia natura emersi durante le registrazioni e le polemiche conseguenti alla pubblicazione per via degli argomenti religiosi trattati, è da considerarsi uno dei vertici artistici dei Tull e, probabilmente, il loro lavoro più noto.
Il disco fa impressione già dalla copertina, sconcertante con il disegno del vecchio barbone Aqualung, sporco e disgustoso clochard, eppure solo e malinconico, come la canzone a lui dedicata fa capire. Nel testo si evidenziano i volgari modi di fare dei senzatetto ma anche la loro emarginazione dalla vita sociale:

«Mentre il sole si raffredda/Un vecchio vaga solitario/perdendo tempo/Nel solo modo che conosce/La gamba fa molto male/Quando si piega per raccogliere un mozzicone/Scende nel pantano/E riscalda i suoi piedi… Ricordi ancora/Il gelo nebbioso di dicembre/Quando il ghiaccio che/si attacca alla tua barba/è dolore da urlo/E ti aggrappi ai tuoi rumorosi ed ultimi respiri/Con suoni da tuffatore di profondità/E i fiori sbocciano come/Follia a primavera».

La struttura musicale di questo pezzo è un accompagnamento perfetto alle liriche, ed è assolutamente coinvolgente, per i suoi momenti di grandiosa aggressività, al limite dell'hard-rock, che si alternano a delicatissime situazioni acustiche, ricche di emotività. Nel disco sono presenti, inoltre, leggeri ed ispirati brani acustici ed un altro episodio fondamentale è rappresentato dalla canzone "My God", che celebra l'ideologia dissacrante di Anderson nei confronti della religione:

«Gente, che avete fatto/Lo avete rinchiuso nella sua gabbia dorata/Lo avete piegato alla vostra religione/Lui, resuscitato dalla tomba/E' il Dio del nulla, se questo è tutto ciò che riuscite a vedere/Tu sei il Dio di ogni cosa/E' dentro di voi e dentro di me/Dunque accostatevi a lui gentilmente e non rivolgetevi a Lui perché vi salvi/Dai vostri piaceri pubblici e dai peccati che siete soliti rinnovare/La Chiesa d'Inghilterra lorda di sangue, nelle catene della Storia/Richiede la vostra gentile presenza al vicariato per il tè/E l'immagine scolpita, sapete di chi/Con il Suo crocifisso di plastica – ci si è trovato inchiodato – confonde sul chi, il dove e il perché e su come sia liquidato/Confessando il peccato eterno, risuona l'eterno piagnucolio/Pregherai fino al giovedì prossimo tutti gli dei che riesci a contare».

Il cantante ha, infatti, sempre ammesso la sua insofferenza di fronte alle ipocrisie e alle esasperazioni cui molti vanno incontro con i loro miti religiosi. Ciò, come accennato, finisce con lo scatenare non poche polemiche, ma la fama dei Jethro Tull continua a crescere, sino a diventare planetaria, e la tournée mondiale susseguente ad "Aqualung" otterrà innumerevoli consensi, spalancando anche le porte del successo americano. Giungono, allora, le prime tappe italiane con concerti nel mese di febbraio al Teatro Smeraldo di Milano e al Brancaccio di Roma.

Il successivo passo dei Jethro Tull è la pubblicazione del maxi singolo "Life Is A Long Song", uscito nel luglio del 1971 e contenente cinque brani. Da segnalare l'ennesimo cambiamento nelle fila del gruppo, visto che il novello sposo Clive Bunker non se la sente di seguire i Jethro Tull nella nuova tournée mondiale, preferendo rimanere in patria con la famiglia. Il batterista entra comunque a far parte dei Jude insieme all'ex Procol Harum Robin Trower (chitarra), all'ex Stone the Crows James Dewar (basso) e a Frankie Miller (voce), e si impegna a dare una mano in alcuni concerti ai Blodwyn Pig, prima di passare agli Aviator. Bunker è sostituito da Barriemore Barlow (10 settembre 1949, ex John Evan's Smash) e con questa nuova line-up viene registrato e stampato "Thick as a Brick" (1972, avvio della collaborazione con la label Chrysalis), un concept album che conferma le eccezionali capacità della band e che è accolto alla grande in tutto il mondo.
Il disco appare in un'originale confezione, essendo inserito all'interno di un giornale, il St. Cleve Chronicle, dove vengono raccolte cronache e notizie inverosimili e nel quale si parla di un personaggio immaginario, il bambino prodigio Gerald Bostock, cui Anderson attribuisce i testi dell'album. Una lunghissima traccia, suddivisa in due parti, compone il lavoro dei Tull, che altro non vuole essere che una parodia delle suite e degli album a tema tanto di moda all'epoca. Il risultato finale è strabiliante, la ricchezza musicale degli artisti raggiunge qui il massimo splendore e i testi non perdono quella verve e quella frizzante provocazione ormai caratteristica del gruppo:

«Le mie parole sono solo un sincero sussurro/La tua sordità è un grido/Forse riesco a farti sentire/Ma non riesco a farti pensare/Il tuo sperma è nella fogna/Il tuo amore è nel lavandino/Così ti metti a correre sui campi/E fai i tuoi affari da animale/E i tuoi uomini saggi non sanno/Cosa si prova ad essere ottusi come un mattone».

Nello stesso anno viene pubblicato dalla Island il doppio album "Living In The Past", un'antologia con in più degli inediti e delle registrazioni dal vivo.

Per un po' la line-up si mantiene stabile e i Tull possono continuare la loro strada senza fermarsi. Si prospetta l'idea di un doppio album ed iniziano così le registrazioni agli studi Chateau D'Houreville a Parigi. Purtroppo, numerose difficoltà di varia natura complicano i piani della band e quelli che vengono ribattezzati come "The Chateau D'Isaster Tapes" rimarranno nel cassetto per molti anni, prima di essere riscoperti parzialmente con qualche estratto in antologie e, poi, nella loro completezza col doppio album "Nightcap", che uscirà nel 1993.
Superata la delusione per questo progetto mancato, Anderson si cimenta nella realizzazione di "A Passion Play" (1973), ancora un concept composto da due suite, con le quali è narrata la storia dell'uomo:

«Amanti del bianco e del nero è la vostra prima notte/La Rappresentazione si sporge ovunque e si svuota il discernimento/Ditemi come si fanno i figli/Come si fa l'amore con una donna/Perché il vecchio cane urla tristemente?/E la immacolata verginità della vostra piccola sorella/Vola via sulla schiena ossuta di un giovane cavallo di nome Gorge/Che clandestinamente ha rubato nella sua revisione geografica/Dimmi com'è che il bambino viede graduato/Perché la signora appassisce/Perché il vecchio cane grida impazzito?».

E' forse l'opera più pretenziosa dei Jethro Tull, e tutt'oggi l'album più controverso del gruppo. Da un punto di vista musicale, è riconoscibile la consueta classe e non mancano momenti di grandissimo spessore, ma sostanzialmente è un piccolo passo indietro rispetto al precedente lavoro, in confronto al quale risulta fin troppo serioso. L'album si presta, in ogni modo, ad una spettacolare e scenografica rappresentazione live, introdotta da uno spazio di diversi minuti in cui si sente un incessante battito cardiaco che spesso, però, innervosisce l'audience. Proprio la maestosità di tali esibizioni comincia a seccare un settore della critica musicale britannica che è pronta a bersagliare gli autocompiacimenti della creatura di Anderson e di altre formazioni progressive; le accuse di kitsch si sprecano.

Dopo oltre un anno è la volta di "Warchild" (1974). Rimane invariata la proposta musicale dei Tull, con un sound che è un vero e proprio marchio di fabbrica, pur rinunciando alla suite e agli altisonanti temi ai quali avevano abituato negli ultimi tempi. Ne vien fuori un disco valido e maturo, che non sarà certo ritenuto il loro capolavoro e tuttavia offre soluzioni di grande qualità. In questo periodo, Anderson si fa apprezzare anche come produttore per l'album "Now We Are Six" degli Steeleye Span e come session-man in "Flashes from the Archives Of Oblivion" di Roy Harper.
Si giunge, quindi, al 1975 e a "Minstrel In The Gallery", un album bellissimo, ricco di spunti di incredibile fascino e con una vena classicheggiante maggiore del solito, cui contribuisce l'ampia strumentazione utilizzata (basti pensare al gran numero di archi), che mostra un gruppo particolarmente affiatato, motivato ed ispirato. C'è, poi, la pubblicazione dell'antologia "M.U. – The Best of Jethro Tull" (1976, include l'ottimo inedito "Rainbow Blues") ed un nuovo avvicendamento nella formazione: John Glascock (ex Carmen) subentra ad Hammond-Hammond e i Tull danno alla luce "Too Old To Rock 'N' Roll: Too Young To Die!" (1976), un lavoro convincente, ulteriore prova delle loro brillanti idee, sebbene senza la freschezza dei giorni migliori. Esce, inoltre, l'EP "Ring Out, Solstice Bells", che racchiude quattro brani, alcuni registrati anni addietro.

Intanto, sia per le incisioni degli album che per i concerti i Jethro Tull si affidano all'apporto del tastierista David Palmer, che va ad affiancare un sempre più defilato John Evan. E' la fase in cui il progressive sta perdendo colpi sotto le dure sferzate delle moderne mode del punk e della disco music, ovvero sta subendo il crescente potere delle case discografiche che vogliono prodotti più commerciali. In questo clima, mentre molti gruppi prog smarriscono la via o realizzano opere di scarso rilievo, i Jethro Tull, come se nulla fosse, sfornano un lavoro meraviglioso: "Songs From The Wood" (1977).
L'album riconduce alle radici folk della band, con brani ed atmosfere pastorali, dal sapore agreste e tradizionale. Un album, quindi, in netta controtendenza a tutto ciò che il mercato discografico offre, giudicato positivamente da critica e appassionati, un solido piedistallo per il prosieguo del cammino dei Tull. Infatti, dopo un'altra antologia, "Repeat: The Best of Jethro Tull vol. II" (1977, con un pezzo inedito, "Glory Row"), viene pubblicato "Heavy Horses" (1978), che ripercorre splendidamente i binari di Songs e vede tra gli ospiti il celebre violinista Darryl Way.
Quasi ad incorniciare il felice momento creativo, e successivamente alla collaborazione all'album "Woman In The Wings" di Maddy Prior (che aveva partecipato a "Songs From The Wood"), arriva il doppio album dal vivo "Bursting Out" (1978), live di squisita fattura che denota una band in forma smagliante. Purtroppo, di lì a breve, con "Stormwatch" (1979), comincia uno dei periodi più travagliati per il gruppo. Il lavoro (ad esso è consecutivo l'EP "Home"), pur inferiore ai precedenti, è molto buono, ma risente di una situazione tutt'altro che serena a causa di problemi di salute di John Glascock. E il colpo durissimo avviene, con la prematura scomparsa del bassista in seguito ad un'operazione al cuore, il 17 novembre 1979.

Anderson decide di rivoluzionare completamente sia la line-up (ne fanno le spese Evan e Palmer che formeranno i Tallis, nonché Barlow che suonerà con i Tandoori e gli Storm) sia l'impostazione musicale: per il nuovo disco troviamo al suo fianco, oltre che il fido Barre, Dave Pegg (ex Fairport Convention) al basso, Mark Craney alla batteria e Eddie Jobson (ex Curved Air, Zappa, Roxy Music e UK) alle tastiere e al violino. Tuttavia, l'album, intitolato "A" e pubblicato nel 1980, per quanto certe cose siano interessanti, è indice dei cambiamenti, del calo di ispirazione e delle tentazioni elettronico-commerciali tipiche del periodo.
Jobson incide poco e la sua classe si avverte solo in misura minima nel lavoro in studio, recuperando nelle esibizioni dal vivo, così Anderson apporta altre modifiche alla band: dentro Gerry Conway (batteria) e Peter John Vettese (tastiere, ex Rich and Famous), e fuori Craney e Jobson, per il fresco Lp "The Broadsword And The Beast" (1982), che riporta le composizioni dei Tull a discreti livelli grazie ad un raffinato pop-rock.
L'anno successivo c'è l'esordio solista di Anderson con "Walk Into Light", mentre nel 1984 esce il nuovo dei Jethro Tull, "Under Wraps" (ancora cambi di formazione con Doane Perry accanto a Conway alla batteria nelle registrazioni di questo album). Stavolta, però, gli artisti appaiono senza uno straccio di idee e intenti solo a cavalcare le mode correnti delle sonorità elettroniche, ma fortunatamente si rivelerà l'unico vero passo falso di una gloriosa carriera.

Qualche problema alla voce di Anderson fa sì che i Tull si defilino per un po', ripiegando su una raccolta antologica, "Original Masters" (1985), e sul singolo "Coronach" (1986). Ma nel 1987 ecco l'album in studio "Crest Of A Knave", che rialza le quotazioni della band e, addirittura, le procura un incredibile premio: il Grammy Award per la migliore registrazione heavy metal dell'anno! Il gruppo si presenta come trio (Anderson, Barre e Pegg), ma all'album partecipano anche Perry, Conway e Ric Sanders, che suona il violino nella meravigliosa e sognante "Budapest".
Dopo il box-set antologico "20 Years of Jethro Tull" (1988), costituito da cinque Lp con brani dal vivo, inediti, singoli e b-sides, la band si lancia in una tournée mondiale di grande successo per celebrare il ventennale di carriera, cui prendono parte Anderson, Barre, Perry, Pegg e il tastierista Martin Allcock (anch'egli ex Fairport Convention). La produzione discografica continua a pieno regime: vengono realizzati dapprima "Rock Island" (1989), in cui il quartetto è coadiuvato alle tastiere da Allcock e Vettese, poi "Live At Hammersmith" (1991), per il solo mercato inglese, e "Catfish Rising" (1991), in cui intervengono invece Andy Giddins, Foss Patterson e John "Rabbit" Bundrick alle tastiere, oltre che Matt Pegg il quale, in un brano, sostituisce il padre Dave al basso.
"A Little Light Music" (1992) è un live registrato a seguito della tournée del precedente album, e nel 1993 vedono la luce altre operazioni antologiche per festeggiare i 25 anni di attività della band: "25th Anniversary Box Set" contiene quattro Cd; il doppio "Nightcap" (1993) raccoglie materiale inedito tra cui gli storici "Chateau d'Isaster tapes"; "The Best of Jethro Tull" è una collection su doppio Cd. Nel 1995 I Tull pubblicano "In Concert", che ripropone vecchie registrazioni della BBC, ed il nuovo album in studio "Roots to Branches", dove suonano Anderson, Barre, Perry, Giddings, con Dave Pegg e Steve Bailey ad alternarsi al basso. E' probabilmente il più bel disco dai tempi di "Crest Of A Knave", merito di canzoni arrangiate in maniera magistrale che pongono in evidenza le caratteristiche preminenti del folk-rock dei Tull, talora accompagnate da atmosfere dal gusto orientale che donano un tocco di originalità in più.

Sempre nel 1995 c'è l'uscita del disco solista di Anderson "Divinities: Twelve Dances with God", interessante lavoro strumentale, molto classicheggiante, col flauto protagonista in una combinazione di suoni orchestrali. L'anno seguente è, invece, il turno di Barre a cimentarsi in un solo-album intitolato "The Meeting". E non è tutto; in un periodo in cui gloriosi artisti rock degli anni '70 sono omaggiati con dischi tributo, anche i Jethro Tull rientrano nel novero degli eletti con "To Cry You A Song" (1996), Cd nel quale nomi del progressive contemporaneo, insieme ad artisti storici non di primo pelo come Keith Emerson, John Wetton, Phil Manzanera, Ian McDonald e a musicisti legati al gruppo di Anderson come Mick Abrahams, Clive Bunker, Dave e Matt Pegg, si confrontano in belle rielaborazioni di alcuni classici della band.
Frattanto, Dave Pegg si trova reintegrato nei riformati Fairport Convention e, non riuscendo a mantenere i propri impegni con entrambe le formazioni, decide di lasciare i Tull. Ma, a peggiorare le cose, nonostante il buon esito dell'album e il ritorno della band a vertici artistici insperati, ci sono le difficili condizioni di salute di Anderson, la cui vita è messa a repentaglio a causa di un'embolia. Per fortuna, tutto si risolve nel migliore dei modi e nel 1999, dopo un breve tour di presentazione di alcuni pezzi nuovi, viene pubblicato per la Roadrunner "Dot Com" che ci restituisce i Jethro Tull (Anderson, Barre, Giddings, Doane Perry e il giovane Jonathan Noyce al basso) in ottima forma. Ian Anderson, malgrado non abbia più la voce di un tempo, si è ormai ripreso alla grande e, oltre a guidare il gruppo in una lunga ed applaudita tournée, durante la quale si dimostra il consueto animale da palcoscenico, nel 2000 aggiunge al suo elenco di album da solista, "The Secret Language Of Birds".
Lo stesso anno s'incide un altro disco tributo dedicato ai Tull, un'operazione tutta italiana, dal titolo "Songs For Jethro", che, unitamente a band nostrane, vede la partecipazione di Cornick, Bunker ed Evan. Infine, è da segnalare il recente live "Living With The Past" (2002, con il cambio ultimo di casa discografica, dato che l'album è curato dalla Eagle), comprendente registrazioni tratte da diversi concerti tra il 1989 e il 2002, uscito sia in formato compact disc che in Dvd, a conferma di come il gruppo sia uno dei più prolifici della storia del rock.

Discografia

This Was (1968)
 L'esordio dei Jethro Tull avviene con un album fresco e dai netti connotati blues-rock. Già dall'opener "My Sunday Feeling" si avverte, però, la voglia di stupire con l'utilizzo del flauto, strumento poco comune nei gruppi rock dell'epoca, che va ad impreziosire la solida base musicale ed i suoni della chitarra di Abrahams.
Più prettamente blues sono brani come "Some Day The Sun Won't Shine For You", "It's Breaking Me Up", "A Song For Jeffrey", ballate guidate dall'armonica di Ian, e "Move On Alone".
"Beggar's Farm" è, invece, una bellissima composizione in cui il blues-rock si fonde con il folk tradizionale britannico in un mix che sarà ampiamente sfruttato dalla band negli anni a seguire. E proprio un brano tradizionale, arrangiato da Abrahams, riesce anche a trovare posto in quest'album; si tratta di "Cat's Squirrel".
"Serenade To A Cuckoo" è un pezzo di Roland Kirk (sembra sia la prima cosa imparata da Anderson con il flauto), strumentale e jazz, che dimostra chiaramente da chi il flautista abbia mutuato il suo stile. Con un'altra canzone strumentale, "Dharma For One", i musicisti possono esibirsi in ispirate intuizioni e intriganti momenti solistici, tra cui emerge l'assolo di batteria di Bunker.
A concludere l'album è ancora uno strumentale intitolato "Round", sorta di epilogo ad un lavoro che è un ottimo trampolino di lancio per un gruppo pieno di idee.

Stand Up (1969)
Il secondo album di Anderson & co. è meraviglioso. Accantonate parzialmente, con l'esonero di Abrahams, le influenze blues, i Tull ci offrono la loro particolare e personalissima miscela di rock, folk e prog di estrazione sinfonica.
L'apertura affidata a "A New Day Yesterday" risente ancora del blues degli esordi, specie nella base ritmica, e mostra una chitarra sanguigna egregiamente suonata dal nuovo membro Barre. Il folk-rock della breve "Jeffrey Goes To Leicester Square" fa da preludio ad uno dei pezzi forti dell'album: quella "Bourée" bachiana, guidata dal flauto del leader e che evidenzia il lato barocco della band. Il romanticismo e le splendide evoluzioni musicali fanno sì che questo brano venga tutt'oggi visto come uno dei cavalli di battaglia dei Tull.
"Back To The Family" è un gioiello di rara bellezza che riporta il disco su pregevoli contaminazioni tra folk e rock aggressivo, grazie ad infuocati passaggi elettrici intervallati da improvvisi break acustici. "Look Into The Sun" si mantiene su morbide atmosfere pastorali, mentre altro amatissimo brano è "Nothing Is Easy": dai ritmi veloci e con flauto e chitarra scatenati, si presta particolarmente bene alle esecuzioni live, al punto che ancora ai nostri giorni è uno dei momenti più attesi dei concerti dei Jethro Tull.
Con "Fat Man" il gruppo esibisce il suo lato irridente, attraverso una sorta di stornellata che vede protagonisti mandolino, flauto e percussioni, e con Anderson a cantare uno dei suoi testi più ironici.
Arrivando alla malinconica "We Used To Know", non si può non notare come tale canzone sia stata praticamente plagiata dagli Eagles di "Hotel California"; la tendenza alla ballad è confermata dall'eleganza della successiva "Reasons For Waiting", dalle raffinate trame acustiche e con un'orchestrazione da favola.
Il finale è affidato alla rovente "For A Thousand Mothers", un rock tirato ma per nulla banale, con ritmi indiavolati e con la chitarra e il flauto pronti ad inseguirsi lungo vie piuttosto articolate.
"Stand Up" pone alla nostra attenzione una band piena di idee, e l'album sfugge a qualsiasi tipo di classificazione, presentandosi sotto molteplici tinte e mostrando un Anderson che con la sua splendida voce, l'originalità con cui inserisce il flauto in un contesto rock e i testi lucidi, intriganti e umoristici, si avvia a diventare uno dei personaggi più importanti della scena musicale.

Benefit (1970)
Trovata una formula vincente, Anderson decide di non cambiarla, e propone un nuovo album che segue i dettami di "Stand Up". Rispetto a quest'ultimo, si ispessisce leggermente la venatura hard, con la chitarra di Barre molto acida in brani quali "With You There To Help Me", dinamica con momenti duri intervallati da passaggi folk, "Nothing To Say", dai fraseggi eleganti, "Son", dalla cadenza quasi blues, e soprattutto "To Cry You A Song", guidata da un micidiale riff e costruita su trame particolarmente ricercate.
"Alive And Well And Living In" è uno splendido esempio di come i Jethro Tull sappiano contaminare la loro musica con le radici tradizionali della musica britannica, col flauto di Anderson non suonato nella consueta maniera rabbiosa ma intento a infondere dolcezza insieme alle note del piano elettrico di Evan che si muove con grande agilità.
Se non mancano delicate ballate romantiche e dai toni acustici, "For Michael Collins, Jeffrey And Me" e "Sossity: You're A Woman", altro frangente intriso di raffinatezza è "Inside", ben diretta dal flauto e dalle ritmiche seduttrici. Ottima è "A Time For Everything", laddove il gruppo mette in mostra le sue varie influenze e sfaccettature attraverso intrecci strumentali di indubbio spessore.
Ed il personale mix di rock e folk emerge anche in una composizione come "Play In Time", il cui andamento acceso vede mirabili duelli tra chitarra elettrica e flauto.
Un altro bell'album, che forse non raggiunge i vertici del precedente, ma che conferma la grande classe dei Jethro Tull.

Aqualung (1971)
Un inizio al fulmicotone: il riff chitarristico della title-track che apre l'album porta in territori decisamente vicini all'hard-rock ma, dopo un minuto di veemenza, il brano si trasforma in una ballad dolce e malinconica con la voce di Anderson filtrata a sussurrare la solitudine del barbone Aqualung, prima di lasciare nuovamente spazio alla velocità e ad un elettrico guitar-solo di rara bellezza. Un altro intermezzo acustico e ancora intriso di mestizia fa da preludio al finale agguerrito che riprende il riff iniziale. Insomma, 6 minuti e mezzo assolutamente spettacolari, con il ripetuto alternarsi di emozioni che denota due facce della stessa medaglia (l'animo dolce della band e la prontezza nel mostrarsi più determinati), per un pezzo che viene considerato uno dei manifesti dei Jethro Tull.
Ma l'album non è solo in "Aqualung"; "Cross-Eyed Mary", "Hymn 43" e "Locomotive Breath" (quest'ultima splendidamente introdotta da un piano classicheggiante) sono vivaci e granitiche canzoni che ripropongono il lato più aggressivo del gruppo, il quale riesce comunque a dare il meglio di sé pure nelle pennellate acustiche di "Cheap Day Return", "Mother Goose", "Wond'ring Aloud" e "Slipstream", in cui le delicate melodie delle chitarre, del flauto e della voce sono assolutamente incantevoli.
Con "Up to Me" e "Wind-Up" ritorna la caratteristica commistione di generi dei precedenti dischi, mentre non manca un certo senso di drammaticità in "My God", apologo sull'adeguamento passivo alle esaltazioni religiose.
Un album bellissimo, che alterna toni hard a sonorità assai morbide, a tratti distante dalla produzione classica dei Jethro Tull (soprattutto a causa di un più parsimonioso uso del flauto), ma che va sicuramente ad inserirsi tra i vertici artistici del gruppo.

Thick as a Brick (1972)
Straordinaria ed esuberante presa in giro dei concept-album, "Thick as a Brick" è una lunga suite suddivisa in due parti in cui emergono tutte le caratteristiche dei Jethro Tull. Una musica dai mille colori, che sa snodarsi tra delicati passaggi acustici e frenetici e movimentati climi aggressivi.
La voglia dei Jethro Tull di esplorare numerosi territori si avverte come non mai: la ripresa di ballate dal gusto tradizionale si unisce al blues, al jazz, al rock aggressivo e viene creata una sorta di nuova strada folk-progressiva, sintomatica della ricerca di contaminazione e che lascia da parte qualsiasi tipo di anacronismo.
La coesione è assolutamente perfetta; il sound di base dettato da flauto, chitarra acustica e voce vira nelle più variegate soluzioni, offrendo disparati temi musicali sapientemente legati tra loro e diventando un dipinto sonoro dal fascino irresistibile. Tutti sono catturati da questo lavoro: sia coloro i quali non si rendono conto della burla che c'è alle fondamenta sia gli ascoltatori che la riconoscono immediatamente non fanno fatica ad apprezzare l'anticonformismo di Anderson e compagni. Gli innumerevoli spunti degni di nota, musicali e di contorno (idea di fondo e packaging), fanno di quest'album un must assoluto che non deve mancare in qualsiasi collezione progressive che si rispetti.

Living In The Past (1972)
 Quest'album contiene alcuni dei primi singoli dei Jethro Tull ("A Song For Jeffrey", "A Christmas Song", "Living In The Past", la stupenda "Sweet Dream", "Life Is A Long Song", ecc.), due brani dal vivo registrati alla Carnegie Hall ("By Kind Permission Of", in cui Evan si esibisce nella ripresa al piano di alcuni temi classici, e "Dharma For One") ed una manciata di composizioni inedite.
Un disco valido, doppio Lp che mette in rilievo la classe del gruppo, grazie a canzoni che appartengono a diversi periodi dell'inizio di carriera, a dimostrazione di uno stile unico che fonde rock, folk, jazz e musica classica, attraverso sonorità a volte acustiche a volte elettriche.

A Passion Play (1973)
Avete presente quando nel calcio, dopo un bellissimo tiro uscito fuori di poco, si dice che l'autore ha colpito il pallone "troppo bene" e per questo non ha centrato la porta? Ecco la sensazione che mi ha sempre dato quest'album: un disco stilisticamente perfetto, ma che non fa centro proprio per la sua estrema perfezione. Troppo serioso rispetto a quanto ci ha abituato Anderson, troppo alla ricerca di una bellezza formale, della soluzione d'effetto che lascia a bocca aperta, "A Passion Play" lascia invece, al termine dell'ascolto, un senso di insoddisfazione e risulta tutt'oggi il lavoro più controverso dei Jethro Tull.
C'è chi, ammaliato da una simile, così precisa foggia e dall'ineccepibile sviluppo delle due suite che formano il concept album, lo ritiene il capolavoro del gruppo; dall'altra parte, c'è chi, puntando il dito sulla pretenziosità dell'opera, preferisce vederne solo i difetti rappresentati dalla freddezza e dall'ostentato autocompiacimento. La realtà, a mio avviso, è nel mezzo: un album indubbiamente ben costruito e ben suonato, ma che non ha dalla sua quella naturalezza e quella verve pungente e beffarda che sono sempre state tra le migliori caratteristiche della band (evidentissima anche la brusca differenza di tale solennità rispetto al precedente e canzonatorio "Thick as a Brick"), né quella visionarietà più tipica di "Aqualung".
Sia chiaro, si tratta di un disco che musicalmente offre ancora tutte le qualità mostrate finora dal gruppo e si ascolta con vero piacere, ma i Jethro Tull hanno fatto goal con altri album.

Warchild (1974)
 I Jethro Tull sono padroni di uno stile unico, e questo album, abbandonando le suite, regala 11 composizioni in forma canzone, nelle quali emerge quel mix particolare ed ormai affermato che il gruppo ha eletto a marchio di fabbrica.
La ricchissima strumentazione consente, come sempre, l'alternarsi di parti acustiche ed elettriche, e per rendere ancora più corposo il sound (sta qui la piccola novità rispetto al passato) viene fatto buon uso del sax (di cui si trova un accenno già nell'album precedente) e di partiture orchestrali, in virtù anche dell'apporto di alcuni membri della Philamusica of London.
Tipiche di questo percorso sono la title-track, "Queen And Country", "SeaLion" e "Two Fingers", mentre l'eredità delle ballate acustiche dal sapore tradizionale è raccolta da "Ladies", "Only Solitaire", "The Third Hoorah" e "Skating Away On The Thin Ice Of The New Day", quest'ultima dalle eleganti melodie e con l'accompagnamento della fisarmonica. "Back-Door Angels" e "Bungle in the Jungle" sono, invece, due brani maggiormente aggressivi, col secondo caratterizzato da un refrain accattivante ed orecchiabile che viene sfruttato come singolo negli Stati Uniti dove è particolarmente apprezzato nonostante la sua semplicità lo renda un po' scontato.
In conclusione, si può dire che "Warchild" è un disco che conferma pienamente la qualità e la grande personalità della musica dei Jethro Tull.

Minstrel In The Gallery (1975)
Bellissimo album e amalgama perfetta tra i suoni acustici del flauto e della chitarra di Anderson e quelli elettrici della graffiante sei corde di Barre, come la spettacolare title‑track dimostra, affiancando ad un inizio dolce e medievaleggiante una seconda parte più aggressiva e pungente per otto minuti di pura delizia. Simile andamento ha anche "Cold Wind to Valhalla", che, aperta dalle note folk di chitarra, flauto e archi, va in crescendo con l'aggiunta di sonorità elettriche.
Grande melodia in "Black Satin Dancer", tra ritmi lenti e soffusi e delicati tocchi di chitarra, piano e flauto superbamente accompagnati dalla sezione orchestrale, prima di un'accelerazione che vivacizza notevolmente il brano e di un ritorno a climi più temperati nel finale.
"Requiem", "One White Duck " e la brevissima "Grace" sono gli immancabili tasselli prettamente acustici, mentre la piece-de-resistence "Baker St. Muse" è una lunga canzone suddivisa in quattro parti che, complice il massiccio uso di archi, risulta la più sinfonica mai realizzata dai Jethro Tull.
Poco da dire, un altro gioiello nella discografia del gruppo.

Too Old To Rock 'N' Roll: Too Young To Die! (1976)
Il grande senso di humour e l'autoironia di Anderson emergono chiaramente dal titolo di questo album, che contiene, al solito, momenti di notevole intensità musicale. Non vengono, tuttavia, raggiunti i picchi dei precedenti lavori, e qua e là affiora un po' di stanchezza, visto che non tutti i brani sono ispirati e le leggere spruzzatine di funky non sono proprio riuscitissime.
Sostanzialmente, si tratta comunque di un album positivo, dove si segnalano in particolare le composizioni che rispecchiano maggiormente il sound dei Jethro Tull del passato, come il blues-rock di "Taxi Grab" e, soprattutto, le melodiche "Crazed Institution", "Salamander", "From A Dead Beat To An Old Greaser", "Bad-Eyed And Loveless", "Pied Piper", "The Chequered Flag (Dead Or Alive)" e la title-track, in cui c'è il predominio dei suoni acustici del folk con qualche inserimento elettrico più tipico del rock.
I brani sono più intimisti e rarefatti rispetto allo standard dei Tull, e solo "Quizz Kid" e "Big Dipper" risultano più movimentati, mancando però della giusta incisività. Gli arrangiamenti orchestrali e i frangenti più rockeggianti stavolta non centrano il bersaglio, sicché l'album, pur validissimo, non può essere considerato tra i migliori pubblicati dal gruppo.

Songs From The Wood (1977)
 In un periodo in cui il punk comincia a diffondersi e ad essere di moda, i Jethro Tull pubblicano un disco meraviglioso, complesso al punto giusto, fresco ed incisivo, ricchissimo di spunti musicali dal fascino irresistibile.
Già l'inizio a capella della title-track, che ricorda vagamente gli intrecci vocali tipici dei Gentle Giant, chiarisce che siamo di fronte ad un lavoro di assoluto spessore. Il brano, vivacissimo, che prosegue con straordinari incroci tra i vari strumenti, regala emozioni a non finire; ma siamo solo al principio…
Il disco si snoda attraverso canzoni pastorali e bucoliche quali "Jack-in-the-Green" e "The Whistler", che sembrano dei moderni madrigali, vere e proprie trasposizioni sonore di un fascinoso medioevo. "Cup of Wonder" rappresenta una delle più perfette coesioni tra folk e rock, con i timbri delle chitarre acustiche ed elettriche a fondersi egregiamente gli uni negli altri, il flauto sempre pronto a dare il suo apporto e le tastiere presenti ad accompagnare con suoni più classicheggianti.
"Hunting Girl" è una personalissima interpretazione di rock sinfonico, che si muove tra tastiere enfatiche, ritmi frenetici, chitarra tagliente e l'onnipresente flauto con i suoi ulteriori tocchi di classe, per un mix sonoro che è da considerare tra le cose più belle mai realizzate dai Jethro Tull. Ma ancora non è finita: "Ring Out, Solstice Bells" è un brano che unisce musica tradizionale e rock, mentre "Velvet Green" è un'altra strepitosa miscela di suoni folk, barocchi, rock, sorta di danza medievale con mille variazioni che la rendono uno dei punti di forza dell'album; e, se sono territori di folk progressivo a caratterizzare la breve "Fire at Midnight", che dire degli oltre otto minuti di "Pibroch (Cap in Hand)"? Di nuovo si fondono i temi più disparati: dalle sferzate iniziali di chitarra distorta ai ritmi pacati su cui Anderson si esibisce in delicate melodie vocali, passando per fraseggi flautistici ora suadenti ora più nervosi, e mantenendo sempre il consueto alternarsi di suoni elettrici ed acustici.
Disco del tutto privo di difetti, con un sound maturo, una ricchezza di contenuti e di invenzioni incredibilmente condensata in canzoni splendide che ci trasportano in ambienti rustici, popolari, dal sapore allo stesso tempo antico e moderno.
"Songs From The Wood" è un album ispiratissimo del quale non mi stancherò mai di decantare le lodi e per il quale i superlativi non sono mai a sufficienza, visto che, a parere di chi scrive, si tratta del punto più elevato dell'intera discografia dei Jethro Tull, che troppo spesso viene irragionevolmente sottovalutato.

Heavy Horses (1978)
 "Heavy Horses" prosegue il discorso intrapreso con "Songs From The Wood" e conserva quel clima ruspante caratteristico dell'ultimo lavoro.
E', infatti, subito un brano frizzante come "....And The Mouse Police Never Sleeps" ad aprire l'album con ritmi vivaci, chitarre acustiche, flauto e tastiere ad intrecciarsi mirabilmente. Canzoni quali "Acres Wild" (impreziosita dal violino), "Moths", "Rover", "One Brown Mouse" e "Weathercock" riprendono alla perfezione le esperienze tradizionali britanniche, similmente a quanto fatto con il precedente disco, con prevalenti atmosfere acustiche.
"No Lullaby" accentua le peculiarità rock, recuperando anche il vecchio amore per il blues (più evidente in "Journeyman"), grazie alla graffiante chitarra di Barre. "Heavy Horses" parte da un riff chitarristico che fa presupporre una sferzata verso un sound robusto, ma in realtà il brano presenta uno sviluppo magnifico nei suoi nove minuti: momenti di solo piano e voce, improvvise accelerazioni vicine all'hard-rock, frangenti acustici con chitarra e flauto, violino onnipresente fanno sì che i contrasti tra situazioni aggressive ed altre più quiete siano tanto nette quanto lodevoli e seducenti.
Un altro disco fantastico che mantiene altissime le quotazioni dei Jethro Tull, andando ad arricchire una discografia che comincia ad essere sostanziosa e con un invidiabile rapporto quantità/qualità.

Bursting Out (1978)
Bellissimo doppio live che corona un momento magico, riprendendo in gran parte la tournée di "Heavy Horses", con alcune delle migliori composizioni recenti ("No Lullaby", "Jack-in-the-Green", "One Brown Mouse", "Songs From The Wood", "Hunting Girl"), diversi brani ormai diventati classici ("A New Day Yesterday", "Bourée", "Thick as a Brick", "Cross-Eyed Mary", "Aqualung", "Locomotive Breath"), insieme ad altre splendide canzoni e momenti strumentali solistici e di gruppo (tra cui due inediti accreditati a Barre: "Conundrum" e "Quatrain").
La band suona alla grande, la coesione è straordinaria, ed il documento rappresentato da "Bursting Out" è certamente un appuntamento imperdibile per i fan.

Stormwatch (1979)
 Con "Stormwatch" il percorso dei Tull continua sulla falsariga dei precedenti album, mantenendo l'ormai inossidabile contaminazione tra folk e rock.
"North Sea Oil", opener del disco, è emblematica in tal senso, e mostra anche come il gruppo aumenti la componente rock rispetto al recente passato. Cosa confermata da "Something's on the Move", "Flying Dutchman" e dalla solidità di "Old Ghosts". "Orion" ha, invece, un andamento piuttosto romantico, dettato da piacevoli orchestrazioni, caratteristiche ribadite e ancor più rimarcate nella delicatissima "Home".
Molto movimentata "Dark Ages", che inizia lentamente ma si sviluppa, poi, tra riff e guitar-solos sanguigni, ritmi veloci e accompagnamento orchestrale, mentre "Warm Sporran" è un folk strumentale su cui veleggia qualche influenza pop che fa presagire gli sviluppi futuri della musica dei Jethro Tull. Su tutto spiccano, però, le malinconiche ballads "Dun Ringill" e "Elegy", che ereditano lo spirito acustico di vecchi classici della band.
Un album valido, che manca degli sprazzi di genialità cui gli artisti ci avevano abituati e che subisce un po' gli effetti di una fase difficile, ma che dimostra per l'ennesima volta le grandi capacità dei Jethro Tull.

A (1980)
Con "A" i Jethro Tull cambiano decisamente direzione, semplificando le composizioni, abbandonando in parte le ballate acustiche e puntando maggiormente su suoni elettronici.
Esemplificativi l'apertura affidata al pop-rock dinamico di "Crossfire", il sound sintetico e un po' freddo di "Black Sunday" nonché i brani "Protect and Survive" e "Batteries Not Included" con i loro timbri avveniristici. "4.W.D. (Low Ratio)" è un blues energico e moderno, e sufficientemente aggressiva risulta pure "Working John, Working Joe", con le sferzate chitarristiche di Barre e le tastiere tecnologiche di Jobson in gran spolvero.
Un alternarsi di tonalità soffuse e vigorose contraddistingue "And Further On"; invece, nella robusta "Uniform" si ritaglia giusto spazio anche il violino, che duetta con buoni risultati col flauto. Anderson, infatti, nonostante il nuovo corso, dà al suo strumento sempre un ruolo di primo piano e, grazie a ciò, si può intravedere qualche colpo di classe più direttamente legato al recente passato in "Flyingdale Flyer", caratterizzata da interessanti momenti musicali e ricercate armonie vocali, e in "The Pine Marten's Jig", bel folk strumentale.
Lavoro tutto sommato apprezzabile, "A" resta tuttavia un episodio al di sotto degli standard dei Tull, e lascia un po' d'amaro in bocca il pensiero che si sarebbe potuta sfruttare meglio la presenza in line-up di un musicista del calibro di Jobson; voto: 6+, con qualche rimpianto…

The Broadsword And The Beast (1982)
 Con quest'album la musica dei Jethro Tull torna a discreti livelli qualitativi, facendo leva su un elegantissimo pop-rock moderno suonato in maniera più che egregia, e in cui Barre si ritaglia spazi molto più ampi del solito.
Al solido inizio di "Beastie" segue "Clasp", dove i suoni elettronici si combinano magnificamente col flauto di Anderson. "Fallen On Hard Times", "Broadsword", "Watching Me Watching You" e "Seal Driver" procedono lungo la scia di un pop raffinato, con timbri tipici degli anni '80, e sono brani vagamente imparentati con il sound romantico dei Dire Straits, che in questo periodo vanno per la maggiore.
Il leggiadro avvio pianistico di "Flying Colours" introduce un dinamico rock tecnologico, mentre "Slow Marching Band" è una melodica ballata semiacustica di rara intensità. Ma la gemma dell'album è "Pussy Willow", ricca di cambi d'umore e mutamenti ritmici, con belle melodie vocali e grande varietà strumentale. "Cheerio" è, invece, una breve e malinconica marcetta che conclude un buon disco, nel quale sono riconoscibili i Tull di sempre.

Under Wraps (1984)
Il disco che rappresenta l'unico vero passo falso nella carriera dei Jethro Tull. Il banalissimo pop elettronico in esso contenuto, che offre solo rarissimi spunti di interesse ("European Legacy", "Heat" e l'acustica "Under Wraps #2", peraltro non del tutto convincenti), unito a composizioni meno che mediocri, è una lampante prova della scarsissima vena di Anderson & co.
Sconcertanti i ritmi ballabili di "Lap of Luxury", "Under Wraps #1", "Saboteur" e "Paparizzi", così come si dimostrano stridenti gli accostamenti tra i gelidi suoni elettronici e le note calde del flauto in diversi brani.
Un vero peccato la presenza di questo brutto album, malriuscito tentativo di cavalcare le mode, in una discografia che altrimenti sarebbe stata immacolata.

Crest Of A Knave (1987)
 Chi credeva che i Jethro Tull fossero ormai avviati verso un'inevitabile parabola discendente deve assolutamente ricredersi con questo bellissimo album.
Il frizzante rock chitarristico di "Steel Monkey", che apre il lavoro, è solo l'inizio di un crescendo di emozioni. Che il sound dei Jethro Tull si sia irrobustito è confermato anche da altri brani ("Dogs In The Midwinter", "Mountain Men", "Raising Steam") in cui non mancano escursioni vicine alla musica cui il gruppo aveva abituato negli anni d'oro, in chiave più moderna.
Gli esempi migliori sono, comunque, rappresentati da "Farm On The Freeway", dove il flauto si combina splendidamente con la coriacea chitarra elettrica, in un'alternanza tra melodia e prepotenza, e da "Jump Start", che parte come folk acustico e diventa poi una veloce e fenomenale cavalcata guidata da un Barre ottimamente seguito dal resto del gruppo. Grande delicatezza in "The Waking Edge", dai toni semiacustici e con un gradevole refrain; e se "Said She Was A Dancer" è un onesto pop-rock melodico, la lunga "Budapest" non solo è il top dell'album, ma va considerato uno dei migliori brani mai realizzati dai Tull, apprezzabile nei cambi d'umore che agiscono tra magnifiche melodie, malinconia, qualche frangente movimentato e i finissimi suoni di piano, flauto e violino.
Con "Crest Of A Knave" i Jethro Tull tornano grandissimi!

Rock Island (1989)
E' un album che conferma il nuovo corso intrapreso dai Tull, in cui gli artisti uniscono impulsi aggressivi e rimandi al passato folk-rock.
Alcuni brani si presentano particolarmente avvincenti, come "Kissing Willie" e "Big Riff and Mando", che riprendono bene i toni hard del precedente disco "Crest Of A Knave", o anche "Rock Island", col suo ottimo rock melodico, e la delicata "Another Christmas Song". In altri c'è il solito eccellente connubio di melodia e aggressività ("Strange Avenues" e il crescendo contaminato di blues di "The Whaler's Dues") e gli standard si mantengono medio-alti; perciò, si può parlare di un piacevole lavoro, un po' inferiore al precedente, ma decisamente valido.

Catfish Rising (1991)

Nulla di nuovo rispetto al recente passato; quindi buone canzoni, con giuste dosi di aggressività, che tuttavia mancano di qualsiasi effetto novità. Ci sono, comunque, spunti interessanti, come l'astuta ed intrigante "This Is Not Love", dalle solide basi e ottima per le esecuzioni dal vivo, o la bella "Rocks On The Road", dall'andamento ipnotico. Per il resto, brani di media caratura in un onesto lavoro che non si discosta troppo dalle ultime produzioni.


A Little Light Music (1992)
 Dal tour di "Catfish Rising" è tratto quest'album dal vivo, registrato in diverse date, contenente canzoni che si riferiscono all'intero repertorio dei Tull. Si va, così, dal blues iniziale di "Some Day The Sun Won't Shine For You" alla delicatezza acustica di "A Christmas Song" e "Life Is A Long Song", dalle classicissime "Living In The Past", "A New Day Yesterday" e "Locomotive Breath" alle più recenti "Rocks On The Road" e "This Is Not Love", dalle ballate "Too Old To Rock 'N' Roll: Too Young To Die" e "From A. Dead Beat To An Old Greaser" alla rielaborazione barocca di "Bourée".
Gli arrangiamenti non sono sempre convincenti e non si può parlare di disco imperdibile, anche se i colpi di classe sono, come di regola, garantiti.

Nightcap (1993)
Questo bellissimo doppio Cd raccoglie brani inediti registrati in diversi momenti della carriera del gruppo.
Di particolare interesse risulta il primo dischetto contenente i famosi/famigerati "Chateau D'Isaster Tapes" del 1973, che si rivelano di straordinaria bellezza, una conferma di quanto magico fosse quel periodo musicale dei Jethro Tull (siamo a cavallo di "Thick as a Brick" e "A Passion Play") e di quante idee avessero a disposizione Anderson e compagni. Arrangiamenti barocchi, indovinate unioni con blues e folk, momenti più rockeggianti e grandissima fantasia fanno davvero rendere conto dell'immensa classe della band, che viveva in quegli anni uno dei suoi momenti più fulgidi e creativi.
Il secondo Cd contiene, invece, vari brani che risalgono all'arco di tempo tra il 1974 e il 1991, di minore interesse, anche se non mancano spunti di notevole fascino, a dimostrazione di una vitalità che non è mai stata persa.

Roots to Branches (1995)
Se negli ultimi lavori in studio i Jethro Tull avevano mostrato una verve brillante con giuste dosi di aggressività, con "Roots to Branches" recuperano in parte le influenze folk mescolate ad altri generi attraverso una musica erede delle intuizioni del lontano "Stand Up".
Esemplificative in tal senso le bellissime "Valley", "Wounded, Old And Treacherous" e "Dangerous Veils", che riprendono in grande stile lo spirito dei vecchi Tull, le dolci ballate semiacustiche "Beside Myself", "Stuck In The August Rain" e "Another Harry's Bar", "This Free Will", dagli arrangiamenti orchestrali, e "At Last, Forever" con la sua sensibilità melodica cui si aggiungono vari cambi d'umore.
La title-track evidenzia l'ottimo susseguirsi di intrecci elettroacustici; "Rare And Precious Chain" fa invece sfoggio di suadenti melodie dal sapore orientale, mirabile e riuscita novità nel repertorio del gruppo; certi tocchi aggressivi si alternano a momenti di grande delicatezza in "Out Of The Noise".
Album, quindi, di notevole fascino, suonato con classe sopraffina e segnale fortissimo della seconda giovinezza che i Jethro Tull stanno attraversando.

Dot Com (1999)
Nonostante i gravi problemi di salute di Anderson (che si riflettono solo nelle parti vocali del nuovo lavoro), la seconda giovinezza dei Jethro Tull sembra continuare con "Dot Com". Ci ritroviamo di fronte un bel Cd composto da 14 tracce, con canzoni nel classicissimo stile della band, quali "Hunt By Numbers", "Awol", "Bends Like A Willow", "Black Mamba", che uniscono come sempre rock, folk, blues e qualche tono hard; mentre altri brani, per esempio la title-track, sono caratterizzati da un rock più semplice ma comunque di classe cristallina; non mancano, infine, momenti di grande intensità musicale e strumentale con la splendida "Far Alaska". A completare il Cd, c'è poi una "ghost-track" che rappresenta un'anticipazione del successivo album solista di Ian Anderson.
Non bellissimo come il precedente "Roots to Branches", "Dot Com" resta un lavoro convincente, grazie al sempre affascinante mix musicale che i Jethro Tull sanno regalare.

Living With The Past (2002)
 Ancora un live, stavolta contenente varie registrazioni a partire dal 13/10/1989, data di una sessione acustica a Zurigo, fino a performance più recenti, in cui ad un repertorio classico ("Aqualung", "Locomotive Breath", "Living In The Past", "Nothing Is Easy", ecc.) si uniscono brani degli ultimi album come "Roots to Branches" e "Dot Com".
Alternanza tra esibizioni acustiche ed elettriche a mostrare l'eclettismo del gruppo, qualche bel ripescaggio ("My Sunday Feeling", "Wond'ring Aloud", "Life Is A Long Song") e la documentazione della reunion estemporanea della prima formazione (Abrahams, Cornick e Bunker) con "Some Day The Sun Won't Shine For You" per oltre un'ora di ottima musica che nulla aggiunge e nulla toglie a quanto fatto finora dai Jethro Tull.

 

Peppe
Novembre 2002