SAINT JUST (1973)
Il
primo disco omonimo dei Saint Just è, con ragione, considerato un
oggetto di culto dalla gran parte dei fan del prog italiano dei Seventies. Ai tre membri del gruppo si aggiunsero il chitarrista Gianni Guarracino, il batterista/percussionista Tony Esposito (che poi raggiunse una certa notorietà in anni successivi) e il tastierista Mario D'Amore.
Rimarchevole, in particolare, il lavoro di quest'ultimo, soprattutto al
pianoforte, le cui sonorità saranno quasi onnipresenti in tutto il
lavoro. Che dire di quest'opera, se non che non presenta alcun punto
debole? Si inizia alla grande con Il fiume inondò, forse il
brano migliore e maggiormente evocativo del disco. Un inizio dominato
dal pianoforte, una parte centrale con un sax vagamente canterburiano,
seguito da un drammatico crescendo strumentale e una parte finale ancora
con il piano. Il tutto condito dalla superba voce di Jenny capace di
raggiungere tonalità inusitate, con uno stile che ricorda abbastanza
quello che il fratello utilizzò nei suoi primi dischi. Anche gli altri
brani non hanno debolezze: si va dal prog de Il risveglio alla simil ninna nanna di Dolci momenti senza che l'ascoltatore si possa annoiare. Da segnalare poi il brano Una bambina
in cui prima Jenny, e poi il fratello Alan in qualità di ospite, danno
uno spettacolare saggio delle loro capacità vocali. La chiusura è infine
affidata a Saint Just, brano cantato in francese e dedicato al
personaggio storico che ha ispirato il nome del gruppo. Insomma un
capolavoro che merita di essere annoverato fra i migliori della scena
progressiva italiana e che non può mancare nella discoteca ideale di
ogni appassionato del genere.
Purtroppo prima della
registrazione del secondo disco Robert Fix abbandona il gruppo. A Jenny e
Antonio Verde si aggiungono dunque il cantante/chitarrista Tito Rinesi, il chitarrista/tastierista Andrea Faccenda e il batterista Fulvio Marras. Con questa formazione e con il fondamentale aiuto di Vince Tempera (per le parti di fiati e archi) il gruppo registrerà il suo secondo, ottimo disco
LA CASA DEL LAGO (1974)
In
questo lavoro vengono perse gran parte delle radici folk del disco
d'esordio in favore di brani molto più ritmati e, quindi, molto più
rock. In fase compositiva alla coppia Jenny/Verde, che rimane autrice di
gran parte dei brani, si aggiunge anche il chitarrista Tito Rinesi che
ne firma un paio. Le canzoni migliori del disco sono probailmente le
prime due. Tristana è emblematica della svolta più rockeggiante
della band ed è un brano davvero di alto livello con una sontuosa
prestazione vocale (ma questa ormai è una costante) di Jenny. Nella vita, un pianto
è invece un vero e proprio capolavoro: 11 minuti di pura magia, fin
dall'evocativa introduzione, per un brano che è quello che ricorda
maggiormente le sonorità del recente passato del gruppo. Il resto del
disco è su livelli leggermente inferiori (se si eccettua la title track)
ma rimane comunque uno di quei dischi che un appassionato del genere
non può far a meno di conoscere.
Dopo questo disco però il gruppo si
scioglie e Jenny e Antonio Verde iniziano a seguire una loro carriera
solista (che per il bassista si limiterà a un solo disco). Passano solo
due anni perché Jenny pubblichi il suo primo disco solista che, ancora
una volta, sposta leggermente il tiro per quel che riguarda le sonorità.
SUSPIRO (1976)
Un disco che si avvale di ospiti davvero di prestigio. Fra questi vanno ricordati, oltre ad Antonio Verde, Pino Daniele, Lucio Fabbri e Peter Kaukonen (il fratello di Jorma, celebre chitarrista di Jefferson Airplane e Hot Tuna). La presenza di quest'ultimo non è affatto un caso, dal momento che la proposta del disco batte strade decisamente jeffersoniane (anche se più affini alla versione Starship piuttosto che a quella Airplane). A tratti Jenny sembra proprio Grace Slick
ma mantenendo un proprio personalissimo stile che da sempre ne
caratterizza la carriera. Le canzoni del disco, anche se non
propriamente prog, sono comunque tutte validissime a cominciare
dall'opener Diamante nero, un brano pop davvero eccelso che
rimane, a parere di chi scrive, una delle cose migliori mai fatte da
Jenny. Altri brani da segnalare sono senz'altro Tristessa, Cabaret e Jorma. Una menzione a parte infine per la title track,
con un ottimo Pino Daniele alla chitarra acustica e gli evocativi
vocalizzi di Jenny su un tappeto di tastiere effetto vento. Questo
disco, come il successivo, è fuori catalogo. E' davvero un peccato che
simili gioielli non possano essere reperibili facilmente. Un fatto,
questo, che dovrebbe far riflettere....
Dopo la pubblicazione di Suspiro Jenny cambia "casacca" discografica passando dalla EMI alla RCA ed
esplorando ancora più a fondo le sonorità pop. Così nel 1979 esce il
disco, per così dire, più "commerciale" di questa splendida artista.
JENNY SORRENTI (1979)
Anche in questo caso Jenny si avvale di validi session men, alcuni dei quali appartenenti al giro prog. In particolare Gaio Chiocchio (ex Pierrot Lunaire) oltre a suonare produce anche il disco e, fra gli altri ospiti, si segnalano Agostino Marangolo, Enzo Avitabile ed Eugenio Bennato. Una menzione speciale non può non andare a Francesco De Gregori, presente nella canzone Lampo (oppure Mare, oppure Cielo, oppure Terra) che
rappresenta senza ombra di dubbio il vertice assoluto del disco e si
caratterizza per uno straordinario duetto in cui la voce del celebre
cantautore si amalgama alla perfezione con quella di Jenny. Altri brani
di rilevo sono l'allegra Giramondo e la bellissima Sorridi (Smile) con la riproposizione in lingua italiana del celebre brano di Charlie Chaplin.
In generale comunque la prima facciata è di grande livello mentre il
lato B del disco è meno scintillante. In ogni caso in ambito pop fine
anni Settanta è un disco che merita attenzione ma che, lo dico con
rammarico, non piacerà ai fan prog più oltranzisti.
Dopo la
pubblicazione del disco omonimo Jenny Sorrenti sparirà dalla
circolazione del mercato discografico per molti molti anni. Naturalmente
non smetterà mai di comporre e suonare ma senza pubblicare nulla. Solo
nel 2001 si deciderà a far uscire un nuovo disco a suo nome. Si tratta
di un lavoro che inaugurerà una nuova fase della sua carriera (a parere
di chi scrive, la migliore fase della sua carriera)
MEDIEVAL ZONE (2001)
Medieval Zone
è un disco che si può inserire nel genere folk celticonapoletano. La
ricerca di Jenny l'ha infatti riportata alle sue radici (il padre era
napoletano, la madre gallese) e le ha fatto scoprire insospettate
somiglianze tra le sonorità del folk celtico e quelle tradizionali della
musica napoletana. Inoltre Jenny è andata a ricercare una serie di
canzoni popolari anche di altre culture, come quella araba ad esempio,
fondendo il tutto in un prodotto che, come già scrissi all'inizio di
questo articolo, non è certo inferiore (anzi in molti casi è molto al di
sopra) di quello che analogamente ha portato al successo un'artista
come Loreena McKennit. L'inizio è emblematico e fonde alla perfezione la
tradizione napoletana con quella araba e spagnola medievale: El rey de Francia
è infatti cantata in galiziano antico (la riscoperta degli antichi
idiomi resterà una costante di Jenny in questa fase della sua carriera).
Nel disco ci sono anche brani in inglese e, persino, in latino, senza
ovviamente dimenticare l'italiano. Fra i brani in italiano non si
possono non menzionare due gemme (su liriche di Sarasole Notarbartolo) come Luna di speranza e Mio caro amore. Due brani molto brevi ma che arrivano dritti al cuore. Da segnalare, inoltre, la title track
ispirata ad alcune danze italiane del XIII e XIV secolo. Il suono del
violino e la melodia di questo brano rappresentano un'ideale fusione tra
la cultura celtica e quella mediterranea, riprendendo in parte anche
l'irlandese danza delle spade che ha diverse similitudini con i ritmi
della tarantella napoletana. Un cerchio che si chiude, insomma. Oltre ai
tradizionali strumenti rock, dunque, il disco è percorso da sonorità di
strumenti più tradizionali come la mandola, la fisarmonica o l'arpa. Medieval Zone si chiude con un rifacimento di Suspiro abbastanza
simile all'originale. Inoltre il CD presenta una traccia multimediale:
il suggestivo videoclip realizzato per la canzone La belle se sit.
In
seguito alla pubblicazione del disco Jenny riprende un'attività
concertistica che, sebbene non intensissima, l'ha comunque portata in
giro un po' per tutta la Penisola. In tutto questo, la matrice folk è
stata notevolmente accentuata, anche probabilmente per la presenza nella
band del fisarmonicista e musicologo Vincenzo Zenobio e del simpaticissimo e scatenato batterista Marcello Vento (ex Carnascialia e Canzoniere del Lazio) con le sue percussioni etniche autofabbricate. Purtroppo in questo lasso di tempo è anche venuto a mancare Umberto Telesco,
compagno di Jenny e autore, tra l'altro, delle foto di copertina dei
suoi dischi. La grave perdita ha probabilmente ulteriormente accentuato
il lato malinconico e introspettivo della scrittura dell'artista
napoletana. Ciò è evidente nell'ultimo (per ora) disco pubblicato
COM'E' GRANDE ENFERMIDADE (2004)
Com'è grande enfermidade si muove sulla falsariga del precedente Medieval Zone
accentuando però maggiormente gli aspetti un po' più rockeggianti. A
far la parte del leone fra i musicisti che accompagnano Jenny ci sono
ovviamente Zenobio e Vento, oltre al bravo chitarrista Stefano De Santis.
Il disco è composto da 12 commoventi gemme nessuna delle quali presenta
debolezze di sorta. Dovendo proprio scegliere, segnalerei il trittico
aperto dalla scintillante Petra's Dream, che prosegue con la ninna-nanna Angelo dell'ammuri per finire con La pazienza, una canzone emblematica probabilmente dello stato d'animo dell'artista ("Non
è naturale tutta questa notte/da troppo tempo dura/nasconde il cielo al
cuore/e non ti fa più sentire/aprire gli occhi si deve/liberare il sole
si deve/mandare via il dolore/aprire gli occhi si deve"). Come
detto, il disco non ha alcun punto debole e lascia spazio compositivo
anche ai già citati Zenobio e Vento, nello strumentale Balcanico.
Insomma uno dei dischi più belli ed emozionanti usciti in questi ultimi
anni che non dovrebbe mancare a nessun vero appassionato di musica. Com'è grande enfermidade si conclude con il commovente lirismo della breve Lune impure
di cui mi sembra emblematico, in conclusione, riportare il testo senza
ulteriori altri commenti (per associarlo alla bellezza della musica
consiglio a tutti di recuperare il disco al più presto): "E noi
restiamo qui abbandonati/come foglie/che il vento porta via con sé/E noi
restiamo qui/ a guardare la luna/perché non esistono lune strane o lune
impure/E noi siamo come gli alberi/che non si piegano mai/quelli che
hanno le radici nella terra/E noi restiamo qui/sotto l'arco dei
sogni/così la pioggia poi non ci bagnerà."
Mastro Gobbetto
luglio 2007

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