Brani:
Pigs on the Wings (pt. 1)
Dogs
Pigs (Three Different Ones)
Sheep
Pigs on the Wings (pt. 2)

Formazione:
David Gilmour – Chiatarra, voce
Nick Mason – Batteria
Roger Waters – Basso, Voce
Rick Wright – Tastiere

Definito come l’album più spietato di sempre, la decima fatica in studio dei Pink Floyd, risulta essere uno delle opere più controverse dell’intera discografia e, forse, il vero punto di non ritorno della band che culminerà nel successivo The Wall e nel dissolversi della formazione a quattro. Ormai anche le alchimie interne al gruppo sono definite, Waters assume su di sé il ruolo di leader, complice anche il lassismo degli altri membri. 
A lui vengono accreditate tutte le tracce (ad eccezione di Dogs condivisa con Gilmour), tre composizioni di durata superiore ai dieci minuti, contornate da un breve brano (suddiviso in due parti) ad aprire e chiudere l’album.  


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Un maiale gonfiabile che sorvola una vecchia fabbrica in disuso (la Battersela Poter Station), sullo sfondo di un triste paesaggio industriale al crepuscolo è forse il miglior biglietto da visita del disco, descrizione di una società di stampo orwelliano, suddivisa in cani, porci e pecore. 
Il tutto, come scritto in precedenza, è aperto da forse quella che potrebbe essere definita una “canzone d’amore” in stile Floyd: PIngs on the Wings, dove Waters, accompagnato da una chitarra acustica, sostiene che il reciproco interesse e cura è l’unico rimedio alla tristezza e ai rimpianti di una vita.
Dogs è la brutale descrizione degli arrampicatori sociali, pronti a tutto pur di raggiungere i propri intenti, affinando le tecniche e lo stile “come la cravatta del club o una solida stretta di mano” al fine di sopraffare il malcapitato di turno. La cosa tuttavia non può continuare in eterno è presto o tardi verrà la fine, quando ormai vecchi nel vano tentativo di trovare una consolazione del proprio agire, saranno a loro volta sopraffatti dalla malattia e dalle colpe.
Pigs continua sulla stessa strada, una cruda descrizione della classe, politica, nella definizione di tre categorie di soggetti “talmente spassosi da essere un pianto”, le cui tristezze personali (attaccamento morboso al potere, moralismo estremizzato, repressione sessuale) sono nascoste, mistificate e riversate sulla popolazione.
Se ci sono degli sfruttatori, sicuramente ci sono degli sfruttati. Sheep fotografa il popolo, che placido pascola apparentemente protetto dai dogmi e dai dettami imposti, per terminare l’esistenza in freddi valli, macellato e appeso dai padroni con il benestare degli Dei cui si affida. Tuttavia anche il popolo pecorone può ribellarsi e a farne le spese sono i cani, costretti a rintanarsi nelle loro case se vogliono sopravvivere, in quella che può essere definita come una violenta inversione degli addendi, che però restituiranno ovviamente lo stesso risultato.
La speranza viene restituita con la seconda parte di Pigs on the Wings, dove anche un cane, consapevole dell’affetto e dell’amore del partner, ha un posto dove poter nascondere il proprio osso, qualcosa d’importante e bello da sottrarre al grigiore dell’esistenza.
Anche a livello musicale, i toni sono molto più oscuri, dettati dalla chitarra acida di Gilmour, a tratti disperata come in Dogs, altre volte violenta come in SheepWright lavora nel sottofondo, descrivendo ambientazioni non più eteree ma inquietanti, il tutto sempre sorretto dalla base ritmica di Mason e Waters. Effetti speciali come il talk box, l’abbaiare dei cani o il belare delle pecore durante il dialogo tra l’organo di Wright e il basso di Waters donano un effetto straniante e malato alle tracce. 
Un album spesso messo ingiustamente in secondo piano sia rispetto alle precedenti pubblicazioni che a quelle successive, ma che invece merita una collocazione paritaria, un ascolto assiduo al fine di essere apprezzato al meglio.

Roberto Cembali
febbraio 2013