| | Brani: |
1-Upstream; 2-The mountain laughs; 3-The strait; 4-Stone of the beach; 5-A short night; 6-At the temple gate; 7-Something about the sky; 8-Dolphin chase; 9-The siren returns | |
| Formazione: | |
Geoff Leigh: flute, soprano sax, zither, percussion, nose flute, voice drone, electronics; Yumi Hara: keyboards, vocals. | |
| 2009, Moonjune Records - Durata: 59:07 |
Cominciamo col presentare i protagonisti di questo lavoro. Geoff Leigh non dovrebbe essere un nome nuovo per gli appassionati di prog, soprattutto per chi segue con attenzione il Rock in Opposition, visto che stiamo parlando di un musicista che ha legato il suo nome agli Henry Cow, essendo stato un membro del celebre gruppo britannico. In seguito le sue collaborazioni hanno spaziato nel mondo legato alla scena canterburiana e R.I.O., dagli Slapp Happy agli Hatfield and the North, da Mike Oldfield agli Univers Zero, ma c’è stata anche una spinta verso la musica nordafricana negli anni ‘80 e, più di recente, un sodalizio con i Faust.
Dal canto suo, la cantante e tastierista giapponese Yumi Hara può vantare un curriculum di tutto rispetto, avendo suonato con costanza con Hugh Hopper e David Cross, pronta ad esplorare e sperimentare di continuo, fino ad arrivare anche al drum ‘n’ bass con il nome di Anakonda. Da due personalità del genere non ci si poteva certo aspettare un disco ordinario. Ed infatti Upstream contiene quasi un’ora di musica registrata in presa diretta, in due giorni del settembre 2008. Bisogna dire che il risultato finale non è così complesso come ci si potrebbe aspettare. I brani che sono scaturiti fuori dalle sessions sono spesso guidati dal flauto, che detta temi morbidi, con pennellate quasi à la Caravan, oserei dire, ben supportato dall’accompagnamento di tastiere, che creano intriganti atmosfere. In altre situazioni, invece, è il piano a lanciarsi in sfoghi curiosi, seguito da un sax nervoso (vedi The strait). In un paio di pezzi (Stone of the beach, At the temple gate e Something about the sky), poi, è da rimarcare il canto lunatico della Hara, che insieme alle bizzarre soluzioni e timbriche strumentali, sembra voler unire tradizione ed avanguardia del Sol Levante. La lunga Dolphin Case (quasi undici minuti), invece, è la composizione in cui il duo punta maggiormente sulla spontaneità, tra vocalizzi folli, urla lancinanti di sax e effettistica stravagante. L’abbiamo già accennato: Upstream non è un disco ordinario, ma nemmeno eccessivamente ostico e/o incomprensibile. Rappresenta semplicemente la testimonianza un momento di felice ispirazione per due forze della natura, con non pochi passaggi assolutamente brillanti ed una piacevole modernizzazione della sperimentazione discendente da Legend e Third.Peppe
Novembre 2009
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