| Brani: |
1-The skeletal landscape of the world; 2-Deceit; 3-Outcast; 4-La chambre; 5-Snails; 6-Yet I must be something; 7-Ignis fatuus; 8-Stray thoughts from a crossroads; 9-A grotesque gift; 10-Someone lies here; 11-Pendulum arc; 12-The web of years | |
| Formazione: | |
| Michele
Epifani: organ, synth, mellotron, electric & grand piano, vocals,
recorder; Piero Ranalli: bass; Stefano Colombi: electric and acoustic
guitar; Simone Antonini: drums Guests - Luigi Belfatto: trumpet on tracks 5 and 6; Lucy: speech on track 6 | |
| Recorded and mixed by Michele Epifani Anno: 2007, Black Widow - Durata: 78:07 |
Con il loro debutto gli Areknamés hanno subito ottenuto ovunque consensi abbastanza unanimi.
A quanto pare, il seguito, intitolato Love hate round trip
viene da chiunque visto come un ulteriore passo avanti, al punto da
inserire la band tra i pezzi pregiatissimi del panorama italiano.
Critica e appassionati hanno accolto con un certo entusiasmo questo cd,
che sembra mettere più o meno d'accordo tutti per la qualità della
proposta.
Ben vengano, però, difetti di questo tipo, quando un disco raggiunge simili livelli…
Immediatamente il riffone di chitarra elettrica che apre The skeletal landscape of the world ci porta in un territorio fatto di hard-prog, doom e claustrofobia. Ma già in questo brano è possibile ascoltare altro, a partire da un breve, ma magico, intermezzo guidato dal piano, fino a concludere con un finale che sa tanto di Van der Graaf Generator. Ed ogni composizione ha un po' queste caratteristiche di dinamismo e mutevolezza, riproponendo ed ampliando un po' gli aspetti principali che si contraddistinguevano l'esordio: si parte da una base che può essere di volta in volta intravista nell'hard-rock, nel progressive, nelle nere atmosfere fiabesche con rigurgiti vandergraafiani o floydiani, nell'underground inglese degli anni '70, nel rock sinfonico più dark, in certa energia dei corrieri cosmici tedeschi, e si intrecciano poi tutte le influenze, si ravvisa questa sorta di alone tenebroso, con suoni tipici dei seventies. Questo e tanto altro troverete in questo disco (persino una cover dei Gnidrolog). Un disco non innovativo, ma un disco stracolmo di buone idee, un disco che racchiude una serie collage sonori intelligenti, un disco carico di passione viscerale. Se proprio vogliamo citare qualche traccia ricordiamo Deceit (uno dei brani più à la VDGG del lotto), Yet I must be something, gli undici minuti di Ignis fatuus, Pendulum arc; ma sono solo le perle più scintillanti di un gioiello di grande valore che ne contiene tante altre.
Io continuo a preferire la freschezza emanata dal debutto, ma è innegabile che il secondo lavoro degli Areknamés sia un passo deciso verso una maturità artistica di primissimo ordine e rapisce senza difficoltà chi si avvicina ai suoi settantotto minuti di attraente e gotica oscurità.
Peppe
Maggio 2007
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