2001 Record Heaven Music
E’ spiegato brevemente nelle note di copertina. Mind vol. 2 è “decostruzione e ricostruzione”, o, per dirla all’inglese con tre parole: Do – Undo – Redo. In realtà è più facile dire cosa non è, invece di cosa è. Non il classico live, non le solite furbizie di aggiustamenti in studio, non una scontata imitazione di grandi proposte del passato, non sperimentazione fine a sé stessa. Gli Isildurs Bane arrivano a creare Mind vol. 2 nel 2001, dopo due decenni e mezzo di attività, puntando alla realizzazione di un’opera ambiziosa, basata su registrazioni dal vivo riviste poi accuratamente in studio, tagliando, aggiungendo, impreziosendo, riarrangiando e toccando vertici qualitativi che solo pochissimi, nel mondo del prog post anni ’70, hanno potuto sfiorare. La carriera della band svedese è un crescendo naturale e impressionante, dal bel romanticismo rock degli esordi, vicino, sotto certi aspetti, al cosiddetto Progg del proprio paese, all’escalation incredibile di tre ottimi album a cavallo tra la fine degli anni ’80 e la decade successiva: Cheval, The voyage e Mind vol. 1.
In un 2001 ricchissimo di ottimi dischi, Mind vol. 2 si eleva con prepotenza al di sopra di tutti. Come il titolo lascia intuire si tratta del secondo capitolo di un progetto a più ampio respiro: tra il 1997 ed il 2005, infatti, sono usciti ben cinque volumi intitolati Mind, ognuno differente dall’altro, ognuno con finalità diverse, ognuno con caratteristiche particolari. Ma concentriamoci su questo secondo volume. Alla base, come accennato, ci sono delle registrazioni dal vivo, frutto di performance tenute in Belgio, Repubblica Ceca, Danimarca, Francia, Germania, Ungheria, Messico, Olanda e Svezia, a dimostrazione di un felice momento in cui il gruppo si è fatto apprezzare un po’ ovunque. C’è poi il lavoro in studio, sia attraverso altre situazioni catturate in presa diretta, sia attraverso quel lavoro di decostruzione e ricostruzione di cui parlavamo all’inizio, sia attraverso la produzione con la quale si arriva ad una pulizia sonora invidiabile. Per l’occasione la band è formata da Klas Andersson alle percussioni, Jonas Christophs alla chitarra, Fredrik Johansson al basso, Mats Johansson alle tastiere, al theremin e alla fisarmonica, Kjell Svernisson alla batteria e alle percussioni, più Jan Severinsson accreditato come ingegnere del suono. Numerosi, poi, gli ospiti presenti, tra cui spicca il nome di Björn J: son Lindh al flauto.
Descrivere minuziosamente ogni singola traccia del doppio cd sarebbe impresa al contempo inutile e improba; siamo, infatti, di fronte ad uno di quei lavori che davvero riesce a sorprendere ad ogni ascolto, a rilevare minuziose e spettacolari finezze anche a distanza di anni e dopo essere stato assimilato per bene. Certo, alcune composizioni sono addirittura clamorose e cito subito e senza esitazioni quella Exit Permit che, in ventitre minuti e mezzo di esplosioni continue di suoni e di colori e di accostamento tra musica classica e prog, rappresenta uno dei top assoluti della carriera degli Isildurs Bane. Si tratta di un brano legato al concept The voyage, altro disco di grande fascino che precedeva la serie Mind, e incentrato sulla figura dell’artista Adolf Wölfli, che iniziò le sue opere legate alla pittura, alla scrittura e alla composizione musicale, mentre era ricoverato in un manicomio a Waldau. In Exit permit l’amalgama che si crea tra il gruppo e l’orchestra sinfonica è impressionante. Un’unione incredibilmente matura, dai risultati fenomenali e probabilmente anche migliori rispetto agli esperimenti simili e più famosi che furono fatti tra gli anni ’60 e i ’70. Se all’inizio può sembrare un’opera classica altisonante dei primi del ‘900, contaminata con suoni “strani” (rumori di treni e aerei, qualche curioso effetto elettronico), l’entrata della strumentazione rock mescola pesantemente le carte in tavola. La maestosità rimane, ma si avverte un sapore più prelibato, dettato dal perfetto connubio tra sonorità classiche ed elettriche, dai saliscendi ritmici da capogiro, da una vivacità coinvolgente e conturbante. Questa sorta di chamber rock rivitalizzato ed attualizzato a modo proprio si ripete in Exit Visa, traccia strettamente correlata a quella di cui abbiamo appena parlato, e posta quasi a chiusura del lavoro, con la ripresa di alcuni temi di Magnificent giant battles, sempre da The voyage. Discorso simile potrebbe essere fatto anche per Holy fools o per la più breve, ma non meno avvincente, Ataraxia.
Strettamente legati a The voyage anche i tre pezzi intitolati The adventures of the whirling delerium, A telescope and a hot air balloon e Wild as a toad, riarrangiati per l’occasione ed eseguiti senza soluzione di continuità dai musicisti che fanno faville con i loro strumenti. Si tratta di una sequenza che è un vero e proprio cavallo di battaglia per il gruppo, che in poco più di sedici minuti interamente strumentali, in cui il rock è preponderante con tanta vitalità, mette in mostra tutte le sue doti, con esecuzioni chirurgiche tra accelerazioni e cambi di tempo, in una personalissima visione del rock sinfonico, che viene legato all’eredità del grande Frank Zappa. Un’eredità raccolta anche curando nei minimi dettagli le parti percussive, davvero sfavillanti e trascinanti, che mettono in mostra il talento di Klas Assarsson e Kjell Sverinsson.
Che dire poi della sequenza di sette tracce che va a formare Celestial vessel? Qui gli Isildurs Bane giocano molto sulle atmosfere, puntando su un sound più rarefatto, compassato, non distante da certo post-rock e con incredibili e affascinati squarci jazzistici notturni guidati dalla tromba di Fredrik Davidsson e dal trombone di Ola Åkerman, che spingono verso territori sonori sinuosi, che un po’ accarezzano, un po’ minacciano.
E ancora sarebbe da ricordare la magnificenza chitarristica con crescendo mozzafiato di The pilot, o la teatralità di Cheval – Volonté de roche, o l’unione di due brani di Mind vol. 1, Opportunistic walk e Holistic medicine, in uno solo, ribattezzato Opportunistic medicine, che avanza tra sezioni scritte ed altre improvvisate, per lanciare ulteriori indizi sui mirabolanti contenuti del lavoro che stiamo analizzando.
Sparse tra i due dischetti, inoltre, ci sono sei tracce intitolate Extroversion; si tratta spesso di brevi bozzetti di musica ambientale, capace di creare atmosfere particolari, tra note leggere, un pizzico di elettronica, effetti sonori e rumori di varia natura. Ed è proprio una di queste a chiudere l’album, la Extroversion (Phase 6) che per poco più di quattro minuti ci accompagna con il suono di un pianoforte malinconico e vagamente classicheggiante.
Quasi tutte le composizioni sono firmate da Mats Johansson e già solo per questo motivo questo musicista merita di essere annoverato tra i più importanti, intelligenti e preparati del panorama prog degli ultimi trentacinque anni. Ad ogni modo, se in alcuni frangenti del disco si può parlare di vera e propria musica classica, se spesso gli Isildurs Bane danno una loro interpretazione di rock sinfonico, se ci sono brani colmi di bandismo zappiano, se, di tanto in tanto, si possono notare connessioni con certo post-rock, guardando Mind vol. 2 nella sua interezza conta l’unione di tutto questo, a cui si aggiungono il lavoro di rifinitura e di sovraincisione e l’eccellente registrazione, che vanno a caratterizzare ulteriormente un’opera che resta unica, difficilmente inquadrabile in uno stile preciso e, probabilmente, inarrivabile nella storia delle decadi recenti del prog.
Alla sua uscita, i giudizi furono molto contrastanti. Era un periodo in cui si delineava una certa spaccatura critica tra chi vedeva il prog derivativo e sinfonico di gruppi come Spock’s Beard e Flower Kings (o, peggio ancora, il prog-metal) come il top degli ultimi anni e chi, invece, accoglieva con gioia maggiore quegli album in cui si osava di più, si poteva intravedere un maggiore lavoro di ricerca e si cercava di personalizzare la propria musica evitando quelli che ormai potevano essere visti come veri e propri cliché. Gli Isildurs Bane seguivano proprio quest’ultimo percorso e il loro capolavoro ancora oggi non è del tutto compreso. Eppure, a distanza di tredici anni, Mind vol. 2 colpisce ancora in maniera forte per la sua freschezza, per la forza con cui abbatte gli schemi precostituiti, per l’incredibile quantità di musica di altissimo livello che contiene, per il suo essere avventuroso e completamente lontano da qualsiasi logica di mercato, per il modo in cui cattura il periodo di maggiore ispirazione di una band che oggi deve essere vista come fondamentale. Non è certo uno di quei dischi di facile ascolto, i cui temi restano immediatamente impressi e, anzi, richiede una certa concentrazione mentre le note si diffondono per essere assimilato al meglio. Ma una volta entrati in sintonia con le composizioni proposte dagli Isildurs Bane è impossibile non rimanerne catturati. Non vogliamo dilungarci oltre, sperando di avervi incuriosito con questa disanima, al punto di spingervi a conoscere questo magnifico album, o di andarlo a riprenderlo e riascoltarlo (qualora lo abbiate relegato da troppo tempo sugli scaffali della vostra collezione), alla scoperta di nuove emozioni.
Peppe
Dicembre 2014
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